Non solo l’Italia, ma anche il resto d’Europa può fare leva su un nutrito schieramento di cosiddetti “bamboccioni” che lascia casa dei genitori sempre più tardi?
Una delle leggende metropolitane più recenti vuole che i giovani italiani vengano chiamati e riconosciuti, anche all’estero, come bamboccioni, ovvero come giovani adulti ancora poco maturi per assumersi responsabilità e incombenze quotidiane importanti, come lasciare casa dei genitori con tutto quello che ne deriva.
Dal cucinare a fare lavatrice, dal rassettare a controllare con più parsimonia le proprie finanze, prima ad appannaggio esclusivo della figura materna nella stragrande maggior parte dei casi, tutti questi semplici compiti subiscono una sorta di poco gradito passaggio del testimone, ma necessario. Diventare adulti, infatti, non è sempre la meravigliosa favola di indipendenza e libertà che ci raccontano fin da bambini.
Quando si chiede ai bimbi cosa vogliono fare da grandi, implicitamente e forse anche inconsapevolmente, si alimentano false speranze sulla vita adulta, unica tappa dell’esistenza che pare essere degna di nota. Da soli esseri umani ci si trasforma in essere produttivi, ed ecco quindi come i bamboccioni vanno assolutamente controtendenza, ancorati a una fase della vita che non appartiene più loro e che devono lasciar andare, mal celando la sofferenza dietro.
Nella narrazione sociale tossica contemporanea, è più nobile, infatti, fare sacrifici impensabili, non uscire da casa se non per andare a lavoro e mangiare tonno in scatola e crackers ogni giorno, che vivere ancora sulla soglia dei 30 anni a casa dei genitori viziati e coccolati.
Insomma, il proprio valore si conta temprandosi nelle avversità. Un pensiero che ha una sua valida ragion d’esser nella natura stessa dell’esistenza, che è fatta anche di difficoltà; eppure condurre un’intera esistenza così, nella speranza un giorno di diventare magici imprenditori di sé stessi, oltre a essere nocivo, è altamente oscurantista come visione sociale.
Parlando ai giorni nostri, sono tempi più che straordinari, o forse no, fatto sta che è diventato legale per le aziende assumere giovani laureati con una formula di stage full time a 600 euro al mese, un salario che supera di molto la povertà e che rende impossibile non solo avere una propria stanza, ma anche sopravvivere. Ecco perché molti ragazzi decidono dopo l’università di tornare a casa dei genitori, perché sarebbe per loro complicatissimi fare diversamente.
Dopo la corona d’alloro, infatti, a molti spetta una sorta di obbligata involuzione che rende necessario il rientro tra le braccia di mamma e papà. E molti giovani vivono questo momento come una grande sconfitta personale. Ecco perché, secondo i dati dell’Eurostat, in Italia si lascia più o meno casa a 30 anni. Ma c’è anche chi è messo peggio.
La vicina Spagna, ad esempio, ha una media di 29 anni e mezzo, mentre in Croazia l’età aumenta a quasi 32 anni. Non va meglio neanche alla Macedonia del Nord, alla Bulgaria, alla Slovacchia e alla Serbia con una media che oscilla tra di 30 e i 32 anni. Tra tutti i paesi europei, però, chi è messo peggio in assoluto è il Montenegro che registra ben 33 anni.
Stiamo parlando di paesi tutti più economicamente instabili rispetto a tutta la regione della Scandinavia, invece, che vanta la tendenza inversa con un’età media bassissima di 19-21 anni, grazie anche ad un miglior sistemata universitario e quindi lavorativo.
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