Il crollo dell’aula magna a Cagliari getta luce sullo status quo dell’edilizia scolastica e universitaria. Di chi sono le colpe di tanta incuria? Che ruolo hanno gli Atenei e quale lo Stato? E soprattutto, bisognerà attendere la tragedia per intervenire attivamente sulle strutture di formazione?
Una tragedia scampata quella che sarebbe potuta avvenire all’Università di Cagliari, dove alle ore 22 ieri è collassato su sé stesso l’edificio dell’Aula Magna dell’ex facoltà di Geologia, nel complesso di Magistero in via Trentino.
Sul posto i Vigili del Fuoco, che anche attraverso l’ausilio di droni hanno setacciato l’area per scongiurare che fossero rimaste intrappolate persone sotto le macerie.
L’edificio di due piani, utilizzato dal Corso di Laurea di Lingue, fino a poche ore prima era gremito di studenti.
Attualmente non risultano feriti fra le macerie, ma si continua a operare per scongiurare la presenza di qualcuno.
Il crollo è avvenuto alle ore 21.50, meno di due ore dopo l’ultima lezione, terminata alle ore 20.
Un fatto, questo, che mette in luce l’attuale status quo delle strutture universitarie.
Un problema quanto mai annoso, e che fa sorgere spontaneamente la domanda: di chi è colpa? Del ministero o delle singole strutture? E soprattutto, bisognerà aspettare la strage prima di intervenire attivamente in materia?
Crollo dell’università a Cagliari, di chi è la colpa? Ecco come il ministero suddivide i Fondi fra gli Atenei
Come sempre accade in questi, sarà complesso stabilire di chi siano realmente le responsabilità.
Francesco Mola, il rettore dell’Università ha ribadito come non ci sia stato “nessun segnale che si potesse verificare quanto accaduto”, in quanto “gli edifici delle nostre Facoltà vengono ispezionati regolarmente”.
A quanto si apprende per poter intervenire è necessario che l’infiltrazione sia già esistente.
Un criterio quanto mai perverso, come d’altronde quelli dell’erogazione dei fondi da parte del ministero.
I criteri del ministero per stanziare i fondi per l’edilizia alle università
Gli ultimi decreti ministeriali in materia di stanziamento e ripartizione dei fondi per l’edilizia universitaria e le grandi attrezzature scientifiche sono i nn. 1274 e 1275 del 2021.
Nella fattispecie quest’ultimo decreto è caratterizzato dalle seguenti misure disponibili:
- 75 milioni di euro per il 2021
- quota minima per ateneo, ad ogni istituzione sarà garantita una quota fissa di 350 mila euro
Semplificando, dunque, ogni Ateneo in Italia ha ricevuto la cifra di 350mila euro annui per il rifacimento dell’edilizia e/o acquisto di attrezzature scientifiche come quota fissa.
Una cifra di fatto irrisoria a fronte delle esigenze di ogni singolo Ateneo.
Vi è, però, una quota variabile.
Sulla base di cosa viene calcolata quest’ultima?
Secondo DM n. 1275 del 10-12-2021, il restante importo, si legge testualmente, “è attribuito a ciascuna Istituzione in proporzione al prodotto tra il numero degli
studenti entro il primo anno fuori corso moltiplicato per il costo standard per studente utilizzato per il riparto del FFO nel 2021“.
In parole povere, secondo il Ministero della Ricerca, le università con il minor numero di studenti fuori corso sono meritevoli di maggiori fondi per l’edilizia universitaria.
Un criterio non solo discriminante e iniquo, ma che ben rappresenta gli assurdi metodi di valutazione con le quali lo Stato eroga i fondi a ciascuna università italiana.
Se, dunque, alcuni Atenei godono di ottima salute dal punto di vista didattico ed economico, questi ultimi sono destinati, secondo i criteri di ripartizione dell’FFO, il Fondo di Finanziamento Ordinario, a beneficiare di ulteriori fondi.
Gli altri Atenei, quelli giudicati di “serie B”, continueranno ad attrarre meno fondi e, secondo un perverso schema di assegnazione fondi, meno soldi avranno meno possibilità ci saranno di offrire ai propri studenti servizi migliori e dunque di uscire da uno stallo che vede questi Atenei impossibilitati a crescere.
Ma qualità della didattica a parte, risulta quanto mai incomprensibile il fatto che sia stato stabilito che i fondi per l’edilizia saranno destinati sulla base degli studenti fuori corso e del costo pro capite di ciascun studente.
Ma non solo.
Nell’ultimo Decreto è stato stabilito che, al fine di ottenere tali risorse, le Università fossero obbligate a comunicare “alla competente Direzione generale del Ministero” i programmi di intervento cui intendono destinare le risorse entro 30 giorni dalla comunicazione della registrazione del decreto, pena il fatto che le risorse restanti sarebbero state ripartite agli altri Atenei.
Cosa significa?
Nel piano pratico gli Atenei, data l’esiguità dei tempi a disposizione, sono stati obbligati a presentare richiesta di tali fondi solo ed esclusivamente per i progetti già parzialmente realizzati.
Ciò ha significato che i CdA degli Atenei, trovatisi alle strette, abbiano presentato domanda solo per progetti già realizzati anche se sono di secondaria importanza rispetto agli interventi strutturali più importanti.
Autonomia delle università: che responsabilità hanno gli Atenei?
Bisogna, però, analizzare un altro aspetto: quello delle responsabilità di ciascun Ateneo.
Fino al 1989, infatti, le Università erano considerate organi dello Stato, fino a quando con l’emanazione della legge 168/89 sull’autonomia universitaria è stato sancito che e ogni singola Università diviene un ente pubblico indipendente dotato di propria personalità giuridica.
Ciò significa che ciascun Ateneo è “libero”, salvo vincoli di legge, di gestire in modo autonomo il proprio bilancio, stabilendo quante risorse destinare a ciascuna voce di bilancio.
Il caso dell’Università di Cagliari
Nel caso specifico dell’Università di Cagliari, anche quest’ultima ha stabilito tramite delibera del Consiglio di Amministrazione del 30 giugno 2022 che le ulteriori risorse destinate ai lavori di manutenzione sarebbero state subordinate “all’effettiva assegnazione del finanziamento da parte del Ministero, così come si subordina alla stessa assegnazione MUR la registrazione del ricavo/credito verso il Ministero”.
Spesso, infatti, è impossibile per le Università stanziare in modo “fisso” parte del bilancio per lavori straordinari, sebbene fra le voci di spesa sia necessario “tenere da parte” una quota per interventi straordinari di manutenzione.
Nello specifico, andando ad analizzare gli Atti relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture pubblicate sul portale dell’Amministrazione trasparente dell’università del capoluogo sardo, nel programma triennale dei lavori pubblici e relativi aggiornamenti annuali non compaiono fondi stanziati per la ristrutturazione dell’edificio che, si apprende, era stato invece ristrutturato tre/quattro anni fa.
Su Rai News si legge testualmente: “L’edificio crollato si trova all’interno del polo universitario di via Trentino-via Is Mirrionis, dove sono presenti appunto anche la mensa universitaria e la casa dello studente. Proprio in quell’edificio, ex Geologia ora in uso alla facoltà di Lingue, ci sono stati recenti lavori di ristrutturazione.”
Bisognerà dunque comprendere le responsabilità dell’azienda a cui sono stati appaltati i lavori di ristrutturazione.
(Oltre che cogliere l’occasione di sindacare su quali siano realmente i criteri per accedere nei casellari delle imprese a cui le pubbliche amministrazioni possono appaltare lavori (vedi Anac).
Non siamo comunque noi a poter stabilire di chi sia realmente la colpa.
Moralmente, però, viene da chiedersi come sia possibile che per lo Stato i fondi aggiuntivi dell’edilizia e dell’acquisto di materiale scientifico vengano erogai sulla base di un criterio quanto mai perverso: il rapporto fra il numero di studenti fuori corso e il loro costo pro capite.
Un ente di formazione che diventa un’azienda non può mai fornire risultati favorevoli a chi beneficia realmente di questi servizi: gli studenti.