A far riaprire una delle vicende di cronaca nera più scottanti d’Italia il giornalista Marco Maisano, che ha richiesto di poter visionare l’enorme quantità di reperti legati alla vicenda. Dal “pelo nell’uovo” al mistero della camicia hawaiana
A distanza di molti anni si torna a parlare, in Italia, del caso di Unabomber.
Proprio in questi giorni avevamo raccontato la storia del killer a doppio volto, uno italiano e l’altro statunitense, che aveva terrorizzato l’Italia e che non venne mai identificato.
L’occasione era stato il documentario realizzato da Rai Documentari sulla vicenda, che ha sollevato nuovamente clamore su uno dei gialli più intricati d’Italia.
Ma ora la vera svolta potrebbe arrivare, come spesso accade, dall’attività di un giornalista: Marco Maisano.
Quest’ultimo, conduttore e ideatore televisivo, partendo da un’inchiesta realizzata per un podcast, ha deciso di richiedere formalmente al Procuratore capo di Trieste Antonio De Nicolò di poter visionare i numerosi reperti del caso.
E uno, in particolare, potrebbe portare alla svolta del giallo del bombarolo che terrorizzò l’Italia nella sua quotidianità dagli anni ’90 in poi.
A riaprire il caso potrebbe essere un pelo nell’uovo, ma non nel modo di dire, ma da intendersi letteralmente.
Maisano, infatti, analizzando i reperti, ha rinvenuto in un uovo inesploso al supermercato di Portogruaro nel 2000 un reperto potenzialmente importantissimo: un capello.
Come accade in moltissimi casi di cronaca nera, con il passare degli anni le tecnologie sono migliorate in modo a dir poco esponenziale, permettendo di realizzare analisi un tempo impensabili.
E’ per questo che il giornalista ha richiesto alla Procura di effettuare un’analisi sul capello rinvenuto, così come altro materiale.
Ora il lavoro di Maisano, che sta realizzando un podcast per OnePodcast (appartenende al gruppo Gedi) assieme a due vittime di Unabomber.
E oggi, sulla base di tali analisi, si potrebbe giungere alla riapertura del caso laddove il magistrato lo ritenesse opportuno.
Era il 2000 quando un uomo della provincia di Pordenone acquistò una confezione di uova presso un supermercato di Portogruaro.
Una volta rientrato a casa, il fortunato acquirente si rese conto che dalle uova usciva un filo, e decise quindi di consegnare tutta la confezione ai Carabinieri.
A quell’uovo, si scoprì, era collegata una carica esplosiva, dalla quale vennero recuperati un capello e della saliva.
I reperti non furono mai analizzati, considerando che proprio mentre si chiedeva l’archiviazione del caso nei confronti dell’unico sospettato, l’ingegner Elvo Zornitta di Azzano Decimo, in Italia si andava istituendo la banca dati del DNA.
Fra coloro i quali richiedono la riapertura delle indagini vi è Francesca Girardi.
La donna, oggi 28 anni, ne aveva 9 quando, mentre giocava con un amichetto, raccolse da terra un evidenziatore giallo che le esplose in faccia.
Ed è proprio lei che, a distanza di anni, si dice “sicura” che l’attentatore fosse presente sulla scena del reato.
“Ce l’ho impresso nella memoria da vent’anni – dice al Corriere Veneto – Era brizzolato, con i capelli corti, gli occhiali e una camicia colorata, floreale, tipo quelle hawaiane. Mia madre si era accorta che un estraneo girava da quelle parti. Lui era lì, ci guardava giocare e ha scelto proprio noi“.
La ragazza, che a distanza di anni ha elaborato ancora meglio i ricordi della vicenda, riportò nell’esplosione del pennarello gravissime lesioni a un occhio oltre che la perdita della mano destra.
Dopo aver preso parte al documentario “Unabomber”, trasmesso lo scorso giovedì su Rai2, ha voluto lanciare un appello per la riparetura delle indagini.
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