I test effettuati sui reperti rinvenuti nella busta misteriosa presente nei pantaloncini di Gianmarco Pozzi confermano la presenza di DNA. E ora è caccia all’identikit del colpevole
Non è mai stato così tanto stretto il cerchio attorno ai responsabili della morte di Gianmarco Pozzi, il campione di kick boxing ritrovato senza vita a Ponza nell’agosto del 2020 all’interno dell’intercapedine di un’abitazione in circostanze a dir poco misteriose.
Sebbene la giustizia abbia proceduto a rilento, come evidenzia a Periodico Italiano Fabrizio Gallo, il legale della famiglia, la notizia della presenza di DNA sui reperti rinvenuti nella busta presente nei pantaloncini di Gianmarco è come una luce in fondo al tunnel.
Bisognerà attendere 30 giorni per avere l’esito dell’esame del DNA dei test di natura biologica, anche irripetibili, disposti dalla Procura di Cassino, come anticipato in questo articolo.
Questi ultimi sono stati svolti presso la sede del Reparto Investigazioni Scientifiche dell’Arma dei Carabinieri di Via Tor Di Quinto, a Roma.
Presente l’avvocato Fabrizio Gallo che, come da verbale, ha richiesto che si procedesse, oltre all’analisi delle tracce biologiche disposte dal pm incaricato Flavio Ricci, anche alla rilevazione di eventuali impronte digitali.
In tal senso il legale ha ritenuto opportuno far mettere a verbale la richiesta di procedere a un’ indagine dattiloscopica, che nell’ambito forense è finalizzata all’identificazione personale.
Un giallo, quello di Ponza, che si è rivelato complesso fin dall’inizio a causa delle inadempienze procedurali da parte delle istituzioni incaricate, al punto da aprire un fascicolo sul reato di corruzione processuale.
A partire dal luogo di ritrovamento del corpo della vittima fino all’ispezione cadaverica superficiale (a cui non è succeduta l’autopsia), quest’ultima eseguita presso l’obitorio di Cassino.
E’ in questa fase che è stata rinvenuta nei pantaloncini di Gianmarco una busta di plastica chiusa con al suo interno diversi oggetti misteriosi:
La speranza è ovviamente quella che le tracce di DNA possano far risalire ai colpevoli del delitto, che secondo l’ipotesi più accreditata avrebbero posizionato tale busta all’interno del pantaloncino dopo la morte.
Ancora ignaro, ad ogni modo, il senso di tale gesto.
L’unica indicazione in tal senso emerse nel corso della trasmissione televisiva Le Iene, quando un telespettatore residente in Germania ma di origine siciliana ipotizzò che si trattasse di una sorta di vendetta simbolica: tante erano le sigarette spezzate tanto erano le persone a cui la vittima avrebbe potuto fare un torto.
Una sorta di linguaggio mafioso che nell’ambito criminologico viene legato tendenzialmente alla criminalità organizzata del Sud Italia.
Viene dunque spontaneo chiedersi quale sia l’origine geografica dei potenziali responsabili, essendo queste “pratiche” simboliche riconducibili principalmente ad ambienti non romani.
Nel frattempo la famiglia Pozzi, sostenuta dai propri legali, ha avanzato un esposto nei confronti della dottoressa responsabile dell’esame cadaverico, che dovrà rispondere dinanzi all’Ordine dei Medici della mancata autopsia, di quelli che secondo il perito di parte, il Professor Vittorio Fineschi, sono stati dei gravissimi errori di valutazione e, sicuramente, del fatto che la dottoressa abbia messo nero su bianco che il fazzoletto rinvenuto nella busta non contenesse tracce di DNA.
Ed è proprio sul suo conto che arrivò presso l’abitazione della famiglia Pozzi una lettera anonima che faceva allusione a una presunta relazione fra lei e uno dei Carabinieri presenti sulla scena del crimine al momento del ritrovamento del corpo della vittima.
Una lettera da cui, tanto Periodico Italiano quanto la famiglia, prendono le distanze non potendo verificarne la fonte, ma che si somma a una serie di segnalazioni telefoniche anonime sul tema, nelle quali si segnala come la dottoressa avesse depistato l’esame cadaverico proprio per proteggere il compagno.
Un altro interessante elemento emerge dalla convocazione da parte della Procura di Cassino delle parti per procedere alle analisi, anche irripetibili, dei materiali biologici da parte del nuovo pm incaricato Flavio Ricci.
Dalla convocazione salta all’occhio come quest’ultima non riporti lo stesso numero del fascicolo aperto da Beatrice Siravo, la precedente pm.
Un modo, forse, per ricominciare da zero con le indagini e chiudere quelle precedenti secondo l’avvocato Gallo, che vede nelle ultime mosse del pm una dimostrazione di disponibilità e di interesse nell’arrivare in fondo alla verità.
Il problema, però, è che “questi reperti sono stati fermi per ben 25 mesi”, dichiara Gallo, definendo come “incomprensibile” tale scelta e “indignato” per le tempistiche.
Il legale, tuttavia, si dimostra estremamente fiducioso nei confronti del nuovo titolare del fascicolo, che potrebbe volontariamente non aver richiesto l’indagine dattiloscopica avendo già chiaro il quadro della situazione.
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