La violenza della polizia spagnola nei confronti delle otto ragazze fiorentine fa tornare subito alla mente quella di Martina Rossi, che dopo dieci anni ha ricevuto finalmente giustizia
Avevano chiesto aiuto alla polizia nella speranza di poter essere al sicuro e invece è proprio da loro che hanno subito le peggiori ingiustizie le 8 ragazze fiorentine aggredite polizia a Valencia.
Ma non solo le sole.
Questa vicenda, infatti, riporta inevitabilmente alla mente quella di Martina Rossi, la 20enne precipitata fatalmente dal balcone di una stanza d’albergo a Palma di Maiorca.
Anche in quel caso la polizia iberica non si rivelò collaborativa con la vittima, chiudendo frettolosamente il caso come suicidio e non recitando la stanza da cui avvenne la tragedia.
Idem per Mario Biondo, il cameraman siciliano ritrovato impiccato nella sua abitazione in Spagna.
Per anni la sua morte venne liquidata come suicidio, soprattutto a causa dei clamorosi depistaggi della polizia iberica e gli errori procedurali che intaccarono irrimediabilmente la scena del crimine.
Se per le ragazze otto fiorentine la richiesta di aiuto si è trasformata in costole incrinate e nasi rotti, quella di Martina Rossi in una terribile vicenda giudiziaria.
Era il 3 agosto del 2011 quando il corpo di Martina venne ritrovato senza vita sotto il balcone dell’albergo dove, allora ventenne, alloggiava a Palma De Maiora.
Pur essendo senza pantaloncini e senza ciabatte, il caso di Martina Rossi venne liquidato velocemente dalla polizia spagnola come suicidio.
Da lì il calvario giudiziario durato 10 anni, durante i quali si sono susseguite condanne e assoluzioni.
Una vera e propria via crucis, come l’ha definita La Repubblica, per Bruno e Franca.
Ora, dopo oltre un decennio, la Corte di Cassazione scrive la parola fine a questa tragedia: la giovane genovese è morta precipitando dal sesto piano dell’hotel in Spagna in quanto stava sfuggendo a un tentativo di stupro.
Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi , che oggi hanno entrambi 30 anni, scontare la pena di 3 anni di reclusione.
Non di più in quanto l’accusa di morte conseguente ad altro reato è decaduta in prescrizione.
I due giovani hanno sempre negato l’accusa di stupro a loro carico, affermando, attraverso la loro difesa, che Martina si sia buttata giù dal balcone a causa del declino sentimentale di uno dei due.
“Non ci deve essere più nessuno che possa permettere di far del male a una donna e passarla liscia – dichiara con dolore ma orgoglio il padre di Martina – Ora posso dire a Martina che il suo papà è triste perché lei non c’è più, ma anche soddisfatto perché il nostro paese è riuscito a fare giustizia”.
Secondo il procuratore della cassazione Elisabetta Cennicola, i due ventenni erano entrambi nella stessa stanza, e questo avrebbe fortemente influenzato Martina, facendola sentire ulteriormente in gabbia al punto di prendere la via di fuga più pericolosa in assoluto.
A parlare, oltre il fatto che Martina fosse senza pantaloncini e ciabatte, alcune lesioni sul suo corpo che non erano riconducibili alla caduta, fra cui i graffi di Albertoni.
Nel frattempo i due amici accusati di aver depistato le indagini, Federico Basetti ed Enrico D’Antonio, sono stati condannati a 280 ore di volontariato.
I due, che hanno scritto una distanza di Martina per prendere le distanze dai due condannati, hanno chiesto scusando ammettendo aver sbagliato in quanto troppo giovani, e devono 1500 euro a testa da devolvere ad associazioni che lettera ai genitori di sulle donne.
Ciò che ad ogni modo è imperdonabile è l’atteggiamento degli investigatori spagnoli, che hanno chiuso frettolosamente in caso come suicidio.
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