Il passaggio di Di Maio da uomo pentastellato a uomo del centro pone in evidenza tutte le enormi contraddizioni nel suo percorso politico. La parabola da uomo di protesta all’uomo mediatore del centro
Lo abbiamo visto nelle piazze urlare con Grillo durante i V Days, lo abbiamo visto sui palchi inneggiare contro la corruzione della politica e contro quei politici che pur di tenersi la poltrona sono stati capaci di scendere a compromessi di qualsiasi tipo.
Ora, Di Maio, può guardarsi allo specchio e vedere l’immagine speculare esatta di tutto questo.
Con il suo ‘Impegno civico’, l’ex pentastellato vuole scendere in campo ancora una volta, ma con le sue condizioni.
Condizioni decisamente più “morbide” di quelle poste mentre era nel Movimento, e che soprattutto generano facilmente ironia: “Impegno civico non parla agli estremisti, a chi vuole sfasciare tutto” e soprattutto “a chi fonda la propria politica sui no. Saremo moderati”.
L’uomo dei no alla fine ha detto di sì. E lo ha fatto nelle Officine Farneto dove, con in sottofondo Davide Bowie e accanto Bruno Tabacci.
Quasi come un rimando storico, con l’ape nel simbolo, lo stesso animale scelto da Rutelli quando, assieme a Tabacci, si scisse dal PD.
Ma quell’ometto così moderato e avverso a chi vuole dividere piuttosto che unire, un tempo non la pensava allo stesso modo.
Certamente non quando fondò il Meetup a Pomigliano nel 2007, il momento in cui inizia la sua ascesa politica con scarsi risultati.
Ma dando poi vita a una carriera senza precedenti, che lo porta a diventare vice presidente della Camera a soli 26 anni. A 36, invece, è stato già tre volte ministro, e ci è arrivato, a fare il ministro, con le idee molto chiare.
Almeno allora.
Impossibile dimenticare il suo fervido sostegno a uno dei movimenti più estremisti degli ultimi anni, quello dei gilet gialli, quegli stessi estremisti che oggi tanto rinnega.
Come è impossibile non notare la sua virata atlantista dopo aver avuto come consigliere il putiniano Manlio Di Stefano.
Lo stesso, poi, che ha fatto retromarcia, come segnala La Stampa, sulla “foga giustizialista” dopo aver sfruttato a suo vantaggio le inchieste dei pm contro gli avversari politici.
D’altronde diceva bene, Grillo, quando lo definiva il “politico” del Movimento. Perché solo uno che la politica la fa di professione poteva arrivare a tanto.
In fin dei conti, la sua è stata una carriera così tanto trasformista da potersi quasi giudicare coerente.
E in fin dei conti lui, lo stesso che quando si dimise da capo politico del Movimento riferendosi agli avversari che “stanno nelle retrovie e vengono al fronte solo per pugnalare alle spalle” non poteva che fare lo stesso.
E adesso viene salvato in calcio d’angolo da quello stesso PD da lui tanto criticato ai tempi d’oro.
Maestro del dietro front, del cambio di casacca e di ribaltamento delle proprie opinioni. Tutte discipline ben note negli ambienti della politica.
Ma nell’ultimo periodo il vero campione è proprio lui, lo stesso che nelle piazze urlava al vincolo di mandato invitando chi lo faceva a tornare a casa.
Magari, col senno di poi, ascoltasse i suoi stessi consigli.
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