Alta tensione in queste ore tra Serbia e Kosovo. I kosovari di etnia serba stanno protestando contro le nuove targhe e documenti introdotti dal governo. E Belgrado non resterà a guardare.
Quando durante tutti gli anni Novanta la Jugoslavia cominciò a sfaldarsi, applicando una sorta di principio di autodeterminazione dei popoli, le proteste e i moti irredentisti che ne derivarono portarono principalmente sangue, morte e distruzione. Fu un periodo estremamente complicato e dal fragile equilibrio politico. A distanza di anni, però, sotto la cenere brucia ancora un fuoco che non si è mai spento ed è pronto ad incendiare tutto alla prima folata di vento.
Ecco perché la situazione tesa al confine tra la Serbia e il Kosovo ci riporta pericolosamente indietro nel tempo. Il Kosovo, infatti, è uno Stato che ha autoproclamato la propria indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008. In questi 14 anni, però, il governo di Belgrado, così come Russia e Cina, non ha mai riconosciuto la regione come ente statale separato dalla Serbia, proprio perché i kosovari di origine serba sono tanti all’interno del paese e costituiscono anche la maggioranza della popolazione in alcune zone del Nord, in un territorio fortemente voluto dagli albanesi che non si sono mai sentiti rappresentati dalla comunità slava.
Tornando però alle proteste di queste ore, il governo del Kosovo aveva annunciato che dal 1° agosto i serbi al nord del Paese avrebbero dovuto richiedere targhe automobilistiche rilasciate dalle istituzioni di Pristina, la capitale dello Stato, invece di continuare a usare targhe e documenti di Belgrado. La minoranza serba, però, contraria a questa decisione, ha parcheggiato camion e altri macchinari pesanti sulle strade che portano ai due valichi di frontiera, Jarinje e Bernjak, costringendo la polizia kosovare a chiudere temporaneamente i due principali passaggi di confine tra Serbia e Kosovo.
Queste proteste però hanno allarmato la Nato che ha definito la situazione nel Nord del Kosovo tesa. Come riportato dal Guardian, la polizia ha riferito di alcuni colpi di arma da fuoco e aggressioni ai danni degli albanesi che si trovavano nelle zone di confine, tanto che il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, è stato costretto a rimandare di un mese l’entrata in vigore delle nuove regole per stemperare gli animi. Al momento sembra quindi che il pericolo sia rientrato. A settembre però la situazione potrebbe precipitare ulteriormente.
I serbi che vivono nel nord del Kosovo, infatti, usano targhe e documenti rilasciati dalle autorità di Belgrado, rifiutandosi di riconoscere l’autorità di Pristina. E già un anno fa, proprio per proteste simili, Albin Kurti aveva rinunciato a imporre tale obbligo. Ma non solo. Il governo aveva anche deciso che da oggi tutti i cittadini serbi in visita in Kosovo avrebbero dovuto ottenere un documento extra al confine, per poter entrare nel paese, proprio come fanno i kosovari che visitano la Serbia.
La portavoce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha indicato Kurti il responsabile delle ultime tensioni, frutto delle regole discriminatorie del Kosovo nei confronti della popolazione serba. L’Ucraina, invece, ha espresso solidarietà al Kosovo, annunciando il loro sostegno militare, nel caso in cui la Serbia dichiarasse guerra.
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