Aumentano i casi di demenza tra gli ex giocatori di rugby: le conseguenze di anni di urti e contrasti al limite sono drammatiche.
Il rugby viene considerato uno sport nobile, perché al termine di ogni incontro, non importa cosa sia successo in campo, gli avversari si rispettano e lasciano che ciò che è successo in campo rimanga sul rettangolo di gioco. Una tradizione che si discosta enormemente da ciò che succede ad esempio sui campi di calcio, luogo in cui spesso e volentieri le liti che si scatenano all’interno del rettangolo di gioco vanno anche oltre la singola partita e si trascinano a lungo.
Per quanto sia bello vedere un simile fair play dopo incontri senza esclusioni di colpi, quei placcaggi spettacolari, quelle azioni che trasudano atletismo e rendono questo sport tra i più belli da vedere e praticare, hanno delle conseguenze che vanno ben oltre l’infortunio. Sono infatti sempre più frequenti i casi di ex giocatori di rugby che manifestano sintomi di demenza in giovanissima età, e quelli di giocatori ancora in attività che sono costretti a lasciare proprio per l’insorgere dei primi sintomi della malattia.
Tra i sintomi più comuni sviluppati da ex giocatori di rugby ci sono epilessia, danni neuronali, amnesia, morbo di Parkinson. Uno dei casi più emblematici dell’ultimo periodo è quello dell’ex nazionale britannico Steve Thompson, il quale a 44 anni è incapace di ricordare la propria carriera sportiva, compreso quel mondiale vinto in Australia nel 2003 in cui segnà una delle mete decisive per la nazionale dei tre leoni. Lo stesso è accaduto all’ex nazionale gallese Ryan Jones, il quale non solo non ricorda nulla del suo passato sportivo, ma soffre di depressione e accusa ripetute e immotivate crisi di pianto.
Il dramma dei giocatori di rugby e la causa contro la federazione internazionale
Quelli sopra citati sono solo due dei 180 ex giocatori che hanno intentato causa alla federazione internazionale di rugby al fine di far riconoscere la correlazione tra l’insorgere della demenza e di altre malattie mentali e il rugby. Si tratta di una causa simile a quella intentata all’NFL da ex giocatori di football americano che avevano sviluppato malattie in seguito ai traumi subito sul campo da gioco. In quel caso il tribunale ha dato ragione agli ex atleti e disposto un risarcimento di 800 milioni di dollari in loro favore.
Il legali degli ex giocatori, però, ci tengono a precisare che lo scopo di questa causa non è esclusivamente il risarcimento, ma anche e soprattutto il riconoscimento della pericolosità del rugby con le regole attuali: “I giocatori che rappresentiamo, amano il rugby. Vogliono però che le organizzazioni al vertice di questo sport accettino la correlazione tra i ripetuti colpi alla testa e i permanenti problemi neuronali, facendo qualcosa per proteggere i giocatori e supportare quelli feriti”.
Secondo i querelanti la federeazione internazionale e quelle nazionali hanno fallito nell’educare i giocatori alle conseguenze dei loro comportamenti sul campo, a quelle dei contatti con la testa, degli scontri in partita e negli allenamenti. C’è da dire che negli ultimi anni il regolamento è stato cambiato proprio per punire ogni contatto alla testa, ma questo potrebbe non essere sufficiente per proteggere i giocatori dalle conseguenze di una carriera agonistica.