Sempre più giovani decidono di rimanere inattivi in Italia, ovvero non studiano né lavorano. Ma come è possibile e perché il fenomeno si sta allargando a dismisura negli ultimi anni?
Negli ultimi anni il fenomeno dei NEET ha acquisito una rilevanza nazionale in Italia, così come nel resto d’Europa, non indifferente. I NEET, ovvero “Not engaged in Education, Employment or Training”, sono giovani dai 15 ai 29 anni che non studiano né lavorano. In altre parole sono inattivi, perché non cercano “attivamente” un lavoro o un corso di formazione specialistico.
Questa sorta di sentimento di apatia verso qualsiasi sfumatura del mondo esterno, a cosa è dovuta però? Un conto, infatti, è il mondo del lavoro, uno l’istruzione. Sarebbe infatti troppo semplicistico sommare i due aspetti che hanno origini e conseguenze diverse. Il mondo universitario, ad esempio, è saturo. Sono davvero tanti gli studenti che la mattina combattono per non seguire la lezione seduti a terra perché le aule sono troppo piccole e inadeguate.
Ma non solo. L’università ha perso attrattiva, nonché il suo scopo di formazione. Molti studenti, carichi di aspettative, restano delusi e disincantati già alla fine del primo semestre. L’offerta formativa nella maggior parte dei casi è carente, poco pratica e attinente alla realtà, per quanto varia, aspetto questo di forza rispetto, ad esempio, alle università inglesi e tedesche, ma che si perde poi in se stesso.
Proprio per questo molti rinunciano agli studi, anche in procinto di laurearsi. Perde infatti di senso anche frequentare un corso di laurea. Ma non va bene nemmeno per chi si laurea. La maggior parte dei datori di lavoro, con l’escamotage dell’esperienza nulla, usano forme di contratti, come stage 600 euro full time o proposte a tempo determinato rinnovabili, per non investire correttamente sul proprio personale che si licenzia per evitare bornout o altre forme di sofferenza legate al lavoro. Per non parlare dei lavoratori stagionali che preferiscono stare a casa, invece di racimolare una paga che non fa concorrenza al Reddito di cittadinanza.
Insomma, alla base dei NEET non c’è, o perlomeno non solo, svogliatezza di base. Tuttavia si tratta di un fenomeno che non può essere ignorato e che sta allarmando l’Unione Europea, come ha dimostrato l’ultima indagine condotta dall’Eurostat.
L’istituto dell’UE, infatti, ha evidenziato come i giovani cambino, e non sempre per scelta, lavoro più frequentemente rispetto al passato. La flessibilità, infatti, è all’ordine del giorno, ma non garantisce nessuna mobilità sociale; al contrario, fomenta la precarietà. In altri termini, il posto fisso come lo abbiamo sempre immaginato non esiste più, proprio per questo, si impiega più tempo per inserirsi abbastanza saldamente nel mercato del lavoro.
I rischi sono altissimi: giusto per citarne uno, se non si lavora, si assottiglia anche lo Stato Sociale che trae la sua linfa vitale proprio dalle tasse, frutto del lavoro di più persone. Tuttavia, nel 2021, una media del 13,1% è stata identificata come NEET all’interno dell’UE, un dato decisamente scoraggiante.
In vetta alla classifica stilata dall’Eurostat troviamo, però, l’Italia: il 25% delle donne e il 21,2% degli uomini non lavorano né studiano ed è il dato complessivamente più alto d’Europa. Solo la Romania, seconda in classifica, supera il numero di donne NEET (26,3%), compensato però da una percentuale molto più bassa di uomini inattivi, “solo” il 14,6%.
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