I risultati dell’autopsia parlano chiaro: Mario non può essersi suicidato. Anzi. Emerge un quadro fosco e soprattutto doloroso, nel quale Paciolla venne persino torturato mentre era già agonizzante
Avevamo parlato già in un’altra occasione in modo dettagliato del caso di Mario Paciolla, il cooperante ONU 33enne originario di Napoli il cui corpo è stato rinvenuto senza vita in Colombia con un lenzuolo attorno al collo a luglio dell’anno scorso nella sua abitazion a San Vicente del Caguan.
Già in questo articolo, muovendo dal servizio realizzato da Le Iene, sono emersi fortissimi dubbi sul fatto che Mario potesse essersi realmente tolto la vita da solo.
Tantissimi, infatti, gli elementi che non tornavano e destavano sospetto, a cominciare dallo slancio vitale di Mario che non poteva essersi suicidato fino ad arrivare al terrore in cui stava vivendo pochi giorni prima della sua morte.
Il cooperante, come ha raccontato alla famiglia, aveva paura che qualcosa di brutto potesse accadergli.
Ma, soprattutto, a far pensare che si trattasse di un depistaggio le palesi incongruenze sulla scena del crimine e l’atteggiamento sulla scena del crimine.
Come abbiamo visto, infatti, i piedi del corpo senza vita di Mario toccavano terra, un fatto impossibile qualora un uomo si tolga la vita.
Un elemento, questo, notato dal giornalista Valerio Cataldi della Rai che, visionando le foto della scena, si rende conto che il corpo di Mario non è appeso.
Altre incongruenze, quali la sedia posizionata accanto al corpo, la sparizione dei suoi oggetti personali proprio a ridosso della morte, la grandissima quantità di sangue rinvenuto, la pulizia maniacale dell’appartamento sotto supervisione di Thomson, il funzionario delle Nazioni Unite che, fin dall’inizio, ha ricoperto un ruolo a dir poco ambiguo.
Tanti, troppi quesiti a cui la famiglia di Mario, in particolare i suoi genitori, potrebbero finalmente avere risposta.
E’ infatti l’autopsia italiana, finalmente, a parlare, rivelandoci un elemento scontato ma fondamentale: Mario è stato assassinato.
Se mai, infatti, ci fosse ancora il dubbio che Mario non sia stato ucciso, adesso è l’autopsia a parlare chiaro.
A due anni dalla morte del cooperante napoletano, dopo una prima autopsia affidata dall’Onu al medico della sua missione, ne è stata disposta una seconda da eseguirsi in Italia.
Gli esiti, come specifica il quotidiano Domani, non sono pubblici essendo l’indagine ancora in corso, ma sono trapelati alcuni dettagli grazie all’estenuante lavoro dell’amica di Mario, la giornalista colombiana Claudia Julieta Duque.
“Alcune prove che non trovano alcuna spiegazione alternativa nel contesto dell’ipotesi del suicidio supportano prevalentemente l’ipotesi di strangolamento con successiva sospensione del corpo“: è questo l’esito dell’esame svolto dal medico legale Vittorio Fineschi (lo stesso che ha realizzato la perizia di parte per il caso Cucchi e il caso di Gianmarco Pozzi) e dalla tossicologa forense Donata Favretto.
I risultati, scrive sempre Domani, furono consegnati già nell’autunno 2020, ma è solo ora che sono trapelati.
Le autorità sia italiane che colombiane, infatti, hanno voluto mantenere la massima riservatezza a riguardo.
La Duque, che è venuta a conoscenza di alcuni dettagli trapelati, ha riassunto così quello che è emerso dall’autopsia:
“Sebbene le coltellate sul cadavere potessero a prima vista essere classificate come autoinflitte, uno studio più dettagliato delle lesioni ha permesso ai medici legali di determinare che mentre le ferite del polso destro presentavano “chiari segni di reazione vitale”, nella mano sinistra mostravano “caratteristiche sfumate di vitalità”, o “vitalità diffusa”, a suggerire che alcune delle ferite potessero essere inflitte “in limine vitae o anche post-mortem”, cioè quando Paciolla era in uno stato agonizzante o era già morto”.
Impossibile, dunque, che il giornalista cooperante possa essersi inflitto da solo tali ferite.
Che da parte delle autorità colombiane il caso sia stato gestito male e in modo sospetto era già un dato più che chiaro, ma oggi abbiamo contezza di quanto gravi siano stati gli errori commessi nelle indagini medico-legali sul corpo di Mario.
Si apprende, infatti, come l’autopsia sia stata eseguita in condizioni difficilissime da parte dei periti italiani.
Prima che il corpo giungesse a Roma, infatti, il materiale di corredo fotografico era totalmente inesistente e mancavano dettagli importantissimi fra i quali quello riguardante il solco dietro il collo di Mario.
Una descrizione precisa di quella ferita, infatti, era fondamentale, in quanto è proprio attorno a quell’elemento che si gioca gran parte del caso.
Stando all’autopsia italiana, quel solco è stato causato da uno strangolamento, e non dal cappio che il giornalista si sarebbe realizzato da solo per impiccarsi.
In condizioni così controverse, scrive Domani, è stato estremamente complesso per gli esperti medico-legali italiani svolgere un’analisi scientificamente accurata, essendo la stessa minata fin dalle sue basi a causa delle inesattezze e dei depistaggi messi in atto in Colombia.
Divulgare un esame scientificamente certo e attendibile, dunque, non è stato così semplice come si sperava.
L’ipotesi della famiglia, fin dai primi istanti della morte di Mario, è quella che le indagini siano state depistate da parte dei funzionari ONU.
E d’altronde sarebbe impossibile non pensarla così.
Un personaggio chiave in questa vicenda è il responsabile sicurezza della missione Christian Leonardo Thompson, il primo ad entrare in casa del giornalista dopo la presunta impiccagione.
E’ lui a ripulire l’intero appartamento, ed è sempre lui che avrebbe preso da casa del cooperante oggetti personali fra i quali tantissima documentazione.
Gli appunti, i diari e le agende di Mario sono infatti spariti nel nulla.
La questione viene confermata da un poliziotto locale che dichiara alle Iene che il funzionario ONU sia entrato con la forza nonostante gli fosse stato vietato di entrare, giustificando l’irruzione con il fatto che vi fosse materiale di proprietà dell’ONU.
Uno degli elementi maggiormente eclatanti è poi il fatto che il responsabile, dopo aver fotografato una serie di oggetti dell’appartamento che non vengono repertati dalla polizia colombiana, riguarda il fatto che questi ultimi e il materasso sulla quale erano presenti palese tracce di sangue “sono stati trasferiti in un veicolo ufficiale Onu fino a una discarica, dove sono stati fatti sparire di nascosto”.
E’ per tale ragione che lui assieme alla collega ONU Juan Vásquez García, e ai quattro poliziotti presenti sul posto compaiono nella denuncia depositata dai genitori di Mario in Colombia durante il secondo anniversario della morte del figlio.
E’ infatti Thompson a detenere dopo la morte le chiavi di casa di Paciolla, nonostante il cooperante vivesse a sue spese e l’abitazione non fosse né in possesso né pagata dall’ONU, come specificato dalla famiglia nella denuncia depositata.
Qualcuno voleva dunque fermare Mario, che per paura che potesse accadergli qualcosa aveva fatto un biglietto di ritorno in Italia esattamente il giorno prima della sua morte.
Le ragioni di questi depistaggi sono da rintracciarsi nel lavoro che stava conducendo Mario.
Abbiamo provare a riassumere la questione in questo articolo a cui vi rimandiamo, nel quale abbiamo analizzato non solo il complesso contesto geopolitico in cui operava, ma anche nei dossier su cui aveva messo le mani.
Dalla questione delle FARC fino, e soprattutto, al dossier sulla strage di bambini avvenuta a causa di un bombardamento da parte del governo colombiano, quel che è certo è che Mario era scomodo, ed è stato fatto tacere proprio mentre tentava di scappare dalla morte.
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