Eugenio Scalfari, uno dei padri del giornalismo italiano, ci ha lasciato a 98 anni. Ha fondato ‘La Repubblica’ e il settimanale ‘L’espresso’.
Forse Eugenio Scalfari non avrebbe mai potuto immaginare che, tanti anni dopo la creazione del giornalismo contemporaneo, la stampa italiana potesse subire un declino così lento e inesorabile. Scalfari, infatti, fa parte di quella generazione che l’Italia l’ha costruita, l’ha fatta sua e poi l’ha lasciata – e forse anche masticata – in eredità agli altri che l’hanno trasformata nella promessa che non era e nel granitico dinosauro che forse sarà per sempre.
Quando si guarda al passato, c’è sempre un velo di malinconia: quello spessore morale, quella intelligenza viva e quella fiamma negli occhi che ha contraddistinto uomini e donne come Scalfari sembra essere andata via per sempre, sparita nel nulla e inghiottita nell’illusione che tempi migliori sarebbero arrivati. Ma così non è stato. Ecco perché oggi la morte di Eugenio Scalfari segna un solco profondo.
Classe 1924, Eugenio Scalfari nasce a Civitavecchia da genitori calabresi; il padre aveva anche aderito alle presa di Fiume con il Poeta e Vate Gabriele D’Annunzio. Al liceo classico G.D. Cassini di Sanremo (dove la famiglia si era trasferita per seguire il padre), però, un giovane Scalfari fece la conoscenza di una futura colonna portante della letteratura italiana contemporanea – mai studiata come si dovrebbe a scuola – Italo Calvino, con cui condivise tutti gli anni cruciali dell’adolescenza. I due, durante gli anni del liceo, saranno compagni di banco prima di intraprendere due strade molto diverse.
Trasferitosi a Roma nel 1941, Eugenio Scalfari aderì al progetto fascista senza perdere però lo spirito critico, lo stesso che determinò la sua espulsione dal partito e dal GUF (Gruppo Universitario Fascista) nel 1943, per alcuni articoli non firmati su ‘Roma Fascista’, in cui il giornalista accusò alcuni gerarchi di corruzione per la realizzazione dell’EUR, ovvero dell’Expo 1942 che si tenne a Roma.
Inizia così la seconda vita di Eugenio Scalfari, lontana dal fascismo e vicina al socialismo di di stampo liberale e anche radicale. Con la rinascita dell’Italia post conflitto mondiale, Scalfari abbracciò le idee del Partito Liberale Italiano, avvicinandosi a giornalisti importanti nell’ambiente, pur cambiando professione. Divenne, infatti, un bancario per la Banca Nazionale del Lavoro, ma non perdendo mai interesse per il suo primo amore, il giornalismo. Cominciò a scrivere così per ‘Il Mondo’ e ‘L’Europeo’, stringendo un sodalizio professionale con Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti.
Nel 1955 però, dopo aver scritto alcuni articoli contro la Federconsorzi, Scalfari fondò il settimanale ‘L’Espresso‘, divenuto negli anni simbolo di un giornalismo di inchiesta di qualità, volto ad analizzare non solo la notizia, ma anche tutto quello che le ruota attorno. Grazie a questa esperienza, Scalfari divenne anche uno dei primi giornalisti a parlare di economia.
Dopo il rischio di reclusione a causa di un’inchiesta volta a far luce sul tentato colpo di Stato da parte del generale De Lorenzo e l’elezione a deputato nelle liste del Partito Socialista Italiano, Scalfari creò nel 1976 ‘La Repubblica‘, il secondo quotidiano più letto d’Italia che oggi piange la scomparsa del suo demiurgo.
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