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“Prove contraffatte”: clamorose novità sul mostro di Firenze | Qualcuno incastrò Pacciani?

Emergono nuovi dettagli sul giallo più lungo d’Italia: quello del mostro di Firenze. E’ possibile che tutta l’inchiesta giudiziaria risulti viziata da un semplice depistaggio?

E’ con quest’ultima domanda che si riaccendono i riflettori sull’inchiesta giudiziaria più lunga d’Italia, quella del mostro di Firenze.

Un mistero infinito sul quale sono state avanzate ipotesi di ogni tipo, ma una su tutte, oggi, potrebbe trovare conferma.

Si tratta di quella riguardante il depistaggio delle indagini, che hanno visto indicati come responsabili i cosiddetti ‘Compagni di Merende’.

Fra questi Pietro Pacciani, ritenuto da molti non colpevole di parte dei reati commessi fra il 1974 e il 1985.

L’uomo, inizialmente condannato in primo grado a più ergastoli con l’accusa di duplici omicidi, venne successivamente assolto in appello, ma morì prima di essere sottoposto a un nuovo processo in appello che si sarebbe dovuto celebrare dopo l’annullamento, avvenuto nel 1996, della sentenza di assoluzione della Cassazione.

Ed è proprio Pacciani il protagonista di questi nuovi elementi emersi.

“Nell’orto di Pacciani una prova contraffatta”

Negli atti che i parenti delle vittime hanno avuto modo di visionare è emerso un elemento a dir poco clamoroso.

Si tratta della conferma che nell’orto di Pacciani ci fosse una prova contraffatta, l’unica, poi, utilizzata per condannare il contadino toscano.

Il proiettile ritrovato nell’orto della sua abitazione non venne mai incamerato all’interno della Beretta calibro 22 che sarebbe stata utilizzata dal mostro per commettere 16 omicidi.

Non solo, infatti, la scalfitura del proiettile risulta incompatibile con quella della presunta arma del crimine, ma potrebbe persino essere stata generata da “un utensile non meglio specificato, estraneo all’estrattore di un arma da fuoco”.

Come riporta il Giornale arriva, così, la più rilevante delle conferme della perizia eseguita da Paride Minervini che già nel 2019 ipotizzò come il proiettile in questione, che come già ribadito fu l’unica reale prova a sostegno delle accuse contro Pacciani, fosse stato costruito in laboratorio.

Il pm Luca Turco ha richiesto l’archiviazione del fascicolo essendo passato troppo tempo, ma c’è un grande paradosso: sono stati aumentati i tempi di prescrizione del reato di depistaggio, decisione voluta fermamente dall’ex premier Matteo Renzi su cui, lo stesso Turco, sta indagando.

Resta dunque vivo il dubbio che il giallo più lungo e rilevante d’Italia, quello del mostro di Firenze, non abbia mai trovato i reali responsabili a causa di un depistaggio.

Bisognerà, dunque, rispondere al quesito più importante di tutti: chi ha messo in atto, ai tempi, il depistaggio?

Una domanda più che legittima alla luce delle novità emerse, e che getta ombre su tutte le ipotesi percorse dagli inquirenti, facendo rivivere il dubbio che, in realtà, tutte quelle coppie uccise non abbiano mai trovato giustizia.

Per trovare risposta a questa domanda si è fatto avanti Paolo Cochi, consulente di alcune delle famiglie delle vittime nonché autore di un importantissimo volume sul caso.

A detta del perito è nelle carte del procedimento Pacciani che si trova risposta su chi sia, effettivamente, il responsabile di tutte queste morti.

Sempre il Giornale ha posto in evidenza tre elementi che sono di assoluta rilevanza: il DNA che è rimasto sulle tre lettere inviate ai magistrati nel 1985, la questione riguardante un uomo castano-rossiccio che venne avvistato da alcuni testimoni prima che venissero commessi gli omicidi di Claudio Stefanacci e Pia Rontini del 1984 e infine, ma non per importanza, il dossier realizzato dai Carabinieri inerente il furto di Claudio Stefanacci e Pia Rontini del 1984 da un’armeria nel 1965.

La pistola, che non venne mai ritrovata, riconduceva a un uomo afferente agli ambienti giudiziari su cui pendevano reati contro la libertà sessuale, truffa e resistenza.

I Carabinieri, ai tempi, pensarono che potesse essere l’assassino, ma in modo inspiegabile la Squadra antimostro di Ruggero Perugini, la stessa che trovò il bossolo nel giardino di Pacciani, non mise l’uomo fra i sospettati.

E’ nella giornata di ieri, ad ogni modo, che il gip Angela Fantechi ha dato il via libera alla consultazione degli atti riguardanti l’ultima inchiesta, quella riguardante l’ex legionario Giampiero Vigilanti.

A riguardo Cochi ha dichiarato: “Il provvedimento del gip Romeo ribadisce il diritto prevalente dei familiari ad accedere agli atti ed a svolgere indagini difensive, rispetto ad una riservatezza sulle indagini richiamata dal pm, che si opponeva ostinatamente da anni. Parliamo di atti di processi del 1994 con sentenza passata in giudicato. Ora vedremo come gli avvocati si muoveranno materialmente sull’acquisizione. Dopodiché potrò fare i riscontri necessari e poter dare una valutazione sul merito degli atti fino ad ora sconosciuti”.

Che la verità si stia realmente palesando?

Martina De Marco

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