Il percorso del fondatore del Popolo della Famiglia, dagli albori nel PD passando per i flop politici fino ad arrivare alla nuova alleanza con l’estrema destra
Un’unione tanto bizzarra quanto prevedibile quella di Mario Adinolfi e dell’estremista di destra Simone Di Stefano, ex Casa Pound.
Ma se c’è qualcosa di veramente bizzarro, in questo contesto, è la parabola politica di Mario Adinolfi.
Dalle primarie con il PD passando per una serie di avventure politiche terminate male, vediamo il percorso che ha portato il ventotenese alla fondazione di Alternativa per l’Italia, una versione italiana del partito tedesco di estrema destra ‘Alternative fuer Deutschland’.
Il curriculum di Adinolfi non è certamente esempio paradigmatico di successo elettorale.
Prima di approdare al PD Adinolfi sperimenta una prima fase nell’ambito della militanza cattolica, nella quale, sicuramente, raggiunge degli obiettivi.
Il politico fa poi un passaggio fondamentale, quello dal Partito Popolare Italiano, embrione di quella che divenne poi la Democrazia Cristiana, alla fondazione un partito tutto suo nel 2001: Democrazia Diretta.
E’ con il simbolo della chiocciola che Adinolfi si candida nel 2001 alle amministrative della Capitale, ottenendo una percentuale decisamente irrisoria di preferenze, ossia lo 0,1%.
Nonostante la clamorosa perdita Adinolfi non si dà per vinto e si avvicina al PD, dando vita a Generazione U, una lista afferente all’area del centro sinistra fondata con alcuni blogger under 40.
E’ con questa lista che tenta la presa della guida del partito, ma ottiene, anche in quel caso, una percentuale irrisoria di consensi: lo 0,17%.
Arriva poi un altro appuntamento elettorale con il PD, circostanza nella quale si candita per la circoscrizione laziale nel 2008.
Ma si risolve, per l’ennesima volta, in un nulla di fatto, risultando il primo dei non eletti.
Arriva poi il fatidico momento delle primarie PD per decidere il nuovo candidato di Roma nel 2012.
Ma la Capitale non sembra portare fortuna al politico ventotenese, che si ritira a favore di Gentiloni.
L’ultimo, in ordine di arrivo, è il fallimento forse più doloroso: quello a Ventotene.
E’ nella sua città natale che Adinolfi si candida come sindaco, ma non ottiene neanche una preferenza, venendo superato per un voto dal candidato del Partito LGBQT+ Luca Vittori.
Arriviamo, oggi, alla nuova avventura politica del fondatore del Partito della Famiglia: quella con il nero Simone Di Stefano.
Lui, estremista di destra, ex CasaPound e fondatore di Exit, movimento per l’uscita dall’Europa nonché fronte agguerrito di contestazione ai vaccini e al Green Pass, si avvicina all’ultra cattolico Adinolfi, dando vita a una nuova creatura politica mitologica.
Il nome d’altronde parla per sé: ‘Alternativa per l’Italia’, una versione tedesca del partito di estrema destra tedesco ‘Alternative fuer Deutschland’.
Un partito il cui obiettivo principale è quello di fare opposizione a Mario Draghi, ma anche a tutto ciò che è legato all’Unione Europea e ai vaccini.
L’astio verso Draghi è tale che Adinolfi e Di Stefano volevano mettere il suo nome nel logo, ma avrebbero dovuto avere il consenso dello stesso Draghi per cui questa opzione è andata naufragando facilmente.
Un partito con un programma elettorale sicuramente non progressista.
In una recente intervista, infatti, Adinolfi ha dichiarato di voler “cancellare con il Napalm” legge 194 e del diritto all’aborto.
Immancabile, poi, il riferimento all’avversione perla “lobby LGBQT”, un male da sconfiggere per un’Italia più sicura, dove vaccini, banchieri e poteri forti non la farebbero da padroni grazie all’intervento di questi due supereroi.
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