In Italia non si trova lavoro? A quanto pare non è così. Un bar di Bologna è stato costretto a chiudere perché non riesce a trovare personale.
Questa è la bizzarra -ma anche controversa- storia del Cafè Terzi, una storica caffetteria di Bologna, che recentemente è stata costretta a chiudere uno dei suoi locali per mancanza di personale. La storia ha scatenato però una serie di polemiche.
Il caffè si è anche rivolto al centro dell’impiego di Bologna per trovare qualcuno disposto a lavorare come barista nel suo chiosco di Piazza Aldrovandi, aperto circa un anno fa. Il locale offre un contratto regolare a tempo indeterminato, con stipendio netto di 1.300-1.400 euro per 6,40 ore di lavoro al giorno, tredicesima e quattordicesima pagate, sei giorni a settimana, weekend inclusi.
La titolare del locale ha dichiarato di aver anche sostenuto diversi colloqui, tutti “andati a vuoto”. Questa è la versione raccontata dalla titolare per ‘La Repubblica’. Purtroppo per lei però durante una seconda intervista per l’Ansa, la sua versione dei fatti è leggermente cambiata:
“Personale non se ne trova” ha dichiarato, “non rispondono nemmeno all’annuncio. Da quando è apparso il cartello, circa una settimana fa, abbiamo avuto solo una richiesta di appuntamento, da parte di una persona che poi non si è presentata”. Insomma, la gente si è presentata o no? Ad oggi la situazione rimane poco chiara.
Intanto un ex dipendente -che ha lavorato al chiosco nel 2021, dopo l’inaugurazione- ha deciso di raccontare la sua, forse più veritiera, versione dei fatti a ‘ilfattoquotidiano.it’: “Non è tutto oro quel che luccica”.
Il caffè Terzì ha sostenuto di offrire un V livello del contratto del Turismo, ovvero fulltime da 40 ore settimanali con stipendio lordo di 1.412,51 euro per 14 mensilità, con un netto mensile di 1.150 euro. Un contrasto con la dichiarazione nell’annuncio del locale.
“Il salario è gonfiato“, ha dichiarato l’ex dipendente, “Nei 1.300 euro mensili sono incluse la 13esima, la 14esima e anche il Tfr per i primi sei mesi e Terzi successivamente obbliga a mettere il Tfr in un fondo pensione perché non vuole che venga lasciato in azienda. Per percepire mensilmente 13esima e 14esima, l’azienda obbliga il dipendente a firmare un foglio dove è in sostanza il lavoratore a dichiarare di volerle di riceverle in busta”.
Secondo quanto dichiarato, anche gli orari non rispettavano le condizioni contrattuali: “Le ore sono effettivamente 40, sì, ma con turno spezzato. Spesso il sabato e/o la domenica si inizia alle 7:30 si stacca alle 12:30 per riattaccare alle 16 e finire alle 19. La domenica invece si inizia alle 8:30 sempre con le stesse modalità”.
Le versioni non combaciano: cosa c’è di strano al Caffè Terzi?
Anche un secondo ex dipendente ha confermato: “Il chiosco era aperto sette giorni su sette e veniva gestito con gli stessi dipendenti che prestavano servizio sia in via Oberdan che in piazza Aldrovandi. Spesso però l’orario stipulato non veniva rispettato e, anzi, veniva esplicitamente richiesto già in fase di colloquio di essere disponibili per un orario di lavoro su più turni, il classico spezzato”.
A questo punto della storia ‘ilfattoquotidiano.it’ ha chiesto una spiegazione al proprietario: “Noi chiediamo di poter pagare loro 13esima e 14esima spalmate sui 12 mesi per nostra strategia aziendale e per farlo il consulente del lavoro sostiene che dobbiamo avere l’autorizzazione dei lavoratori. Stesso discorso vale per il TFR”.
Sulla faccenda dei turni la risposta appare invece un po’ confusa: “Non mi pare che venga richiesta disponibilità a farli, ma posso sbagliare. Potremmo averlo forse chiesto a qualcuno ma non ricordo. Però fino a ora non c’è stata necessità”.
E poi invece ha continuato: “E’ un lavoro su turni, sì, per forza: dobbiamo gestire due locali e solamente un ragazzo per turno lavora al chiosco. E sì, chiediamo disponibilità e flessibilità, ci servono per gestire il lavoro e i turni in modo che lo staff non sia sovra/sotto dimensionato rispetto il lavoro”.