Il cerchio si stringe ed anzi, non è mai stato così stretto. E il contorno dai foschi margini che ha definito le indagini sulla morte di Gianmarco Pozzi fino ad ora, inizia ad essere sempre più chiaro e definito. Le novità portano tutte a una verità: le mancanze da parte delle istituzioni coinvolte e l’omertà delle persone vicine a Gianmarco. Tutti gli aggiornamenti sul caso
Un traffico di stupefacenti con una rete che tocca Roma, Napoli e Ponza e illeciti di vario tipo commessi nelle indagini sono solo alcuni degli elementi che fanno parte del quadro indiziario dietro la morte di Gianmarco Pozzi.
Il giallo del pugile 28enne originario di Roma e deceduto in circostanze misteriose aveva, fin dall’inizio, fatto sorgere dubbi sulla legittimità dell’iter istituzionale e delle indagini.
Inizialmente fatta passare come morte accidentale o addirittura suicidio, la scomparsa di Pozzi ha aperto un varco senza precedenti sul contesto non solo dell’isola, ma anche della capitale.
Ma non solo.
Fra gli elementi ambigui il fatto che fossero spariti tutti gli oggetti personali di Gianmarco, questione rispetto alla quale sono emerse parecchie novità.
In questo caso ciò che desta maggiormente scalpore è l’atteggiamento da parte delle istituzioni, locali e non.
Dalla mancata tutela della scena del crimine, che non solo non venne recintata ma sulla quale venne fatta buttare candeggina per eliminare le macchie di sangue sotto consiglio dei carabinieri del posto, passando alla mancata autopsia fino alla perizia informatica su un cellulare ritrovato intatto e infine riconsegnato alla famiglia totalmente distrutto e non funzionante, campeggia, su tutti, un grande interrogativo: perché le istituzioni non hanno seguito l’iter che deve essere seguito nei casi di morte violenta?
Ma facciamo un passo indietro.
Gianmarco venne ritrovato senza vita a Ponza nell’intercapedine di un’abitazione nell’agosto del 2020.
I proprietari della casa riferiscono di aver sentito un tonfo attorno alle 11.00 di mattina del 10 agosto 2020 e, affacciatosi, hanno visto il corpo del giovane pugile senza vita.
Sul posto accorrono i sanitari del 118 che riferiranno alla sorella della vittima, Martina Pozzi, che il corpo rinvenuto non era di certo un corpo morto lì sul colpo.
Nonostante a primo impatto i sanitari si resero conto della questione, sul posto non accorse alcun medico legale per misurare la temperatura cadaverica.
Ma non solo.
La zona dove è stato rinvenuto il corpo, nonostante si trattasse palesemente di morte violenta, non venne recintata, ma venne anzi inquinata.
Già dai primi minuti emergono, dunque, mancanze procedurali a dir poco eclatanti.
Nei giorni a seguire, così come nei mesi, la situazione diventerà ancora più grave.
Sul corpo di Gianmarco detto Gimmy non venne, anzitutto, disposta l’autopsia. La morte era di tipo violento, e il corpo del giovane pugile parlava chiaro e avrebbe, soprattutto, potuto dare elementi fondamentali in merito alle cause effettive della morte.
Ematomi di grosse dimensioni, uno scalpo alla testa, ferite da colluttazione e il corpo pieno di rovi e spine lasciano sicuramente sospettare che Gianmarco non fosse morto per una banale caduta accidentale derivante da un eccessivo consumo di sostanze stupefacenti.
Ma, nonostante ciò, l’autopsia non venne disposta.
Uno degli elementi che fin dal primo momento non tornarono in questo caso è quello della sparizione degli oggetti personali di Gianmarco.
Arrivata sull’Isola il giorno dopo la morte del fratello, Martina Pozzi nota qualcosa di strano nell’abitazione dove Gianmarco viveva assieme ad altre tre persone.
Trova sospetto che Lautieri, uno dei tre inquilini collega di Gianmarco recentemente arrestato per il vasto traffico di sostanze stupefacenti nella capitale e a Ponza, riconsegna a Martina la valigia di Gianmarco mezza vuota.
Mancano le lenzuola, i vestiti che Gimmy usava per lavorare, il portafoglio e moltissimi indumenti.
Trova per altro all’interno della valigia anche vestiti non suoi.
Un gesto gravissimo, in quanto a tutti gli effetti quella valigia era un elemento che sarebbe potuto risultare utilissimo alle indagini.
I coinquilini si giustificarono dicendo che avevano regalato le magliette ad alcuni amici di Gianmarco che, venuta a sapere della sua morte, volevano un “suo ricordo”.
Una ricostruzione, questa, dai margini decisamente poco chiari oltre al fatto che si è configurato, tale gesto, come un reato vero e proprio.
La famiglia, infatti, ha deciso di sporgere denuncia per il furto indebito dei capi di abbigliamento di Gianmarco i quali, come si diceva, sarebbero potuti essere una prova indiziaria molto importante.
A distanza di anni è finalmente arrivata risposta dal tribunale. In esclusiva per Periodico Italiano, Paolo Pozzi, padre di Gianmarco, e il legale che lo rappresenta, Fabrizio Gallo, ci hanno fatto sapere che è ufficialmente arrivata risposta sul procedimento riguardante la sottrazione indebita dei vestiti.
Nelle prossime settimane si verrà a conoscenza degli indagati per il reato in questione, e questo elemento potrebbe dare, assieme agli altri, una importante svolta alle indagini.
Resta poi aperta la partita delle responsabilità delle istituzioni. Dal medico legale, contro cui è stato presentato un esposto fino al perito informatico che ha riconsegnato il cellulare oramai bloccato e inutilizzabile, passando per i carabinieri che fecero lavare la scena del crimine, le responsabilità sono tante, e l’iter processuale sembra essere stato, fino all’intervento del pm Ricci, tutt’altro che limpido.
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