A seguito delle dichiarazioni dello chef sul lavoro che non deve essere obbligatoriamente pagato, ovunque vada oramai viene contestato, come è accaduto a Livorno
Uno dei temi più caldi dell’ultimo periodo riguarda la mancanza di personale da collocarsi nel mondo della ristorazione.
Come sempre accade quando si parla di temi di questo tipo, l’opinione pubblica si è polarizzata, a riguardo, in due netti schieramenti: i ristoratori e gli imprenditori, che attribuiscono al reddito di cittadinanza la causa principale della mancanza del personale e i lavoratori, stanchi di paghe da fame e condizioni lavorative disumane.
In questo dibattito sono state le dichiarazioni di uno degli chef più famosi d’Italia, Alessandro Borghese, a gettare benzina sul fuoco.
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera Borghese espresse il suo parere sulla mancanza di personale giovane nel mondo della ristorazione:
“Diciamo che i ragazzi, oggi, hanno capito che stare in cucina o in sala non è vivere dentro a un set. Preferiscono tenersi stretto il fine settimana per divertirsi con gli amici. E quando decidono di provarci, lo fanno con l’arroganza di chi si sente arrivato” ha dichiarato, sottolineando come i giovani abbiano “la pretesa di ricevere compensi importanti. Da subito.”
Sono state poi queste parole in particolare, poi, a scatenare la polemica:
“Sarò impopolare, ma non ho alcun problema nel dire che lavorare per imparare non significa essere per forza pagati. Io prestavo servizio sulle navi da crociera con “soli” vitto e alloggio riconosciuti. Stop. Mi andava bene così: l’opportunità valeva lo stipendio. Oggi ci sono ragazzetti senza arte ne parte che di investire su se stessi non hanno la benché minima intenzione. Manca la devozione al lavoro, manca l’attaccamento alla maglia”.
Sindacati, lavoratori ma anche cittadini qualunque non hanno per nulla gradito le dichiarazioni dello chef di ‘Quattro Ristoranti’.
Le sue parole, infatti, sono state in qualche modo rappresentative dell‘atteggiamento di sfruttamento messo in atto dai ristoratori e che ha generato, come conseguenza principale, il rifiuto da parte dei lavoratori, soprattutto dei più giovani, di sottoporsi a uno sfruttamento fatto di paghe da fame e orari improponibili.
La polemica è divampata velocemente ma non sembra avere intenzione di arrestarsi. In tutta Italia, infatti, dove Borghese si è recato, ha ricevuto contestazioni.
L’ultima di queste è stata quella di Livorno. Vediamo cosa è accaduto.
Borghese contestato a Livorno: gli striscioni dei sindacati contro lo chef sul tema dello sfruttamento lavorativo
Un’accoglienza tutt’altro che felice quella ricevuta da Borghese a Livorno.
Lo chef si trovava nella città toscana per girare alcune riprese del suo celebre programma televisivo ‘Quattro Ristoranti’.
Ed è in occasione del suo arrivo che, in alcune zone della città, sono comparsi striscioni di contestazione nei suoi confronti.
Nel quartiere ‘Venezia’, in particolare, campeggiava lo striscione con su scritto: “Borghese a Livorno non sei il benvenuto”.
E’ stato il sindacato Usb a chiarire la natura della protesta attraverso un post sulla loro pagina Facebook:
“Borghese qualche mese fa esordì con alcune frasi in difesa di quei ristoratori che decidono di non pagare i propri dipendenti, in quanto “devono imparare” un mestiere. Vorremmo ricordare a Borghese che il lavoro gratuito (e nel nostro paese esiste in diversi settori) si chiama sfruttamento. Il lavoro si paga, sempre…”.
Segno, questo, di una crescente consapevolezza dei lavoratori nei confronti dei propri diritti, fra i quali quello di avere una giornata libera o, per lo meno, di essere adeguamente compensati dal punto di vista economico per le ore effettivamente svolte.
La questione è destinata, indubbiamente, a far discutere ancora a lungo, e che si lega a doppio filo con la questione del salario minimo.
L’Italia, attualmente, è uno dei pochi paesi europei a non prevedere l’istituto del salario minimo, e la recente direttiva europea sul tema ha fatto riaccendere il dibattito.
La direttiva, tuttavia, non è vincolante, e dunque non obbliga i paesi membri ad adottarla, alimentando, dunque, il dibattito ulteriormente.