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Quando l’Ucraina uccideva i giornalisti: la tragedia di Andy Rocchitelli 8 anni dopo

Il conflitto nel Donbass fa tornare alla luce il ricordo di Andrea Rocchitelli, il fotoreporter ucciso dall’esercito ucraino nella zona dei separatisti e che perse la vita assieme all’attivista Andrej Mironov e che non ha mai ottenuto giustizia

Sono passati otto anni ma il ricordo della morte del giornalista Andrea Rocchitelli torna a galla, oggi, più lucido che mai.

Originario di Pavia, fu proprio nell’area oggi oggetto principale di combattimento fra la Russia e l’Ucraina, quella del Donbass, che il fotoreporter perse la vita.

Mentre si consuma l’avanzata russa sul territorio dei separatisti e cresce la paura di Zelensky, che si vede rifiutare i lanciarazzi a lunga gittata da parte degli States, oggi si celebra il ricordo di chi, in nome dell’amore nel raccontare la verità, ha perso la vita.

Senza, tuttavia, ricevere mai giustizia.

Il ricordo di Andrea Rocchitelli, ucciso in un’imboscata in Ucraina

Era il 25 maggio del 2014 quando Rocchitelli, conosciuto come Andy, venne ucciso in un’imboscata a Sloviansk, da sempre la roccaforte dei filorussi del Donetsk.

Il fotoreporter veniva ucciso con l’interprete locale nonché attivista per i diritti umani Andrej Mironov, che persero la vita nei pressi di una collina a Karachun.

Rocchitelli sarebbe rimasto vittima di un violento attacco, come sappiamo dalle informazioni di quello che all’epoca fu l’unico testimone nonché sopravvissuto: William Rouguelon, un giornalista francese che era con lui e che rimase ferito al volto.

L’attacco nei loro confronti, come si legge dalla documentazione del processo in tribunale, si è verificato “senza alcuna provocazione e offensiva, né da parte loro né dei filorussi”.

E sono state ostacolate, per altro, le indagini da parte di tutte le autorità ucraine.

Obiettivo di Andrea Rocchitelli e colleghi quello di documentare la situazione in cui vivevano i civili nel bel mezzo del conflitto fra i separatisti filorussi e l’esercito ufficiale di Kiev. 

Ieri come allora la situazione nel Donbass è sempre stata particolarmente turbolenta, soprattutto dove perse la vita il reporter italiano.

Quest’ultimo si trovava, assieme ai colleghi, nell’area di un’antenna televisiva che la Guardia Nazionale Ucraina doveva a tutti i costi difendere.

Proprio in quei giorni, a seguito della tragedia, venne lanciato un appello per salvaguardare la vita dei giornalisti in Ucraina, sopratutto a seguito dell’arresto di due fotoreporter di origine russa filo Kiev, secondo alcune indiscrezioni di allora.

Fu la Farnesina a confermare la notizia della morte del reporter che, coraggiosamente, voleva raccontare uno dei conflitti che, all’epoca, era poco attenzionato dai media.

Il giornalista aveva fondato nel Piacentino il collettivo CesuraLab, ma, purtroppo, la sua vita venne tragicamente spezzata a soli 30 anni.

In attesa di giustizia

Per la sua morte venne condannato nel luglio del 2017 da parte della procura di Pavia un militare della Guardia Nazionale ucraina, Vitaly Markiv.

Inizialmente vi fu una condanna a 24 anni di reclusione con la grave accusa di concorso di colpa nell’omicidio.

Ma la seconda tragedia arrivò il 3 novembre del 2020, quando la Corte d’assise d’appello di Milano assolse l’imputato con la motivazione di “non aver commesso il fatto”, scarcerandolo sulla scorta di un cosidetto “vizio di procedura”.

Sentenza poi nuovamente confermata anche dalla Corte di Cassazione il 9 dicembre dell’anno scorso.

La famiglia, tanto di Rocchitelli quanto di Mironov, attende ancora giustizia mentre nel conflitto altri giornalisti stanno perdendo la vita.

Recentemente i genitori di Andrea hanno dichiarato:

“Condanniamo la spietata invasione dell’Ucraina e stiamo dalla parte della popolazione che la subisce. Quanto accade conferma l’intuizione di nostro figlio che quella zona fosse cruciale per il futuro del continente. Andrea era amico dell’Ucraina e degli ucraini. Ciononostante ad ucciderlo, nel maggio 2014 a Sloviansk nel Donbass, sono state le forze armate Ucraine. I testimoni, le prove, i risultati delle indagini e tutti i tre gradi del processo non lasciano dubbi. Ma le autorità ucraine hanno sempre negato”.

Martina De Marco

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