Il 4 luglio 1776 i padri fondatori degli Stati Uniti mettevano nero su bianco un concetto universale, ma assolutamente innovativo: “Noi teniamo per certo che queste verità siano di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono creati eguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di certi Diritti inalienabili, che tra questi vi siano la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità“.
Fino ad allora la felicità non si sapeva nemmeno bene cosa fosse, così come il benessere interiore. Una persona veniva considerata malata, infatti, solo se aveva la febbre, la sifilide o la peste; insomma, solo il fisico poteva arrogarsi il diritto di patire, non la mente. Sarà solo grazie all’avvento della psicanalisi nell’Ottocento se la dimensione interiore acquista una sua integrità e dignità. E da Freud in poi, tanta strada è stata fatta.
Negli ultimi decenni soprattutto la felicità è diventata una questione centrale nei Paesi occidentali e più sviluppati, complice il migliore tenore di vita che in qualche modo ci permette di dedicarci ad aspetti più “leggeri”, malgrado non lo siano. Ovviamente essere felici è una questione meramente personale, legata al singolo più che alla collettività, ma proprio per la sua diversità intrinseca permette comunque di stabilire un range all’interno del quale muoversi delicatamente.
E’ più facile associare l’infelicità ad un paese in guerra, sotto un regime dittatoriale o, più semplicemente, povero: l’instabilità economico-politica è alla base della serenità delle persone. Tutt’altra storia e ricerca va fatta per i Paesi che di questi problemi ne hanno fatto un ricordo del passato, forse.
Chiedimi se sono felice
Il World Happiness Report 2022 è arrivato alla sua decima edizione, stiamo parlando della pubblicazione annuale del Sustainable Development Solutions Network che analizza il livello di felicità e benessere degli individui, su scala nazionale e globale: “La vera misura del progresso è la felicità delle persone” – si legge sul report aggiungendo come – “I governi vedono questo come un obiettivo centrale delle politiche pubbliche”.
Insomma, essere felici conta e forse è anche la cosa che più conta nella nostra vita sempre più frammentata, diluita e ora anche incerta a causa della pandemia, prima, e della guerra in Ucraina da oltre un mese, ma andiamo a scoprire nel dettaglio chi occupa le prime e le ultime posizioni del ranking internazionale. Per condurre l’analisi ci si è basati su numerosi indicatori che vanno dai tassi di criminalità all’aspettativa di vita, dalla corruzione all’assistenza sanitaria, dalla libertà individuale alle risorse naturali e artistiche, dall’economa al lavoro, ma soprattutto su una sorta di bilancio della propria esistenza fatto dalle singole dalle persone.
E’ emerso così che mentre in alcuni Paesi (Romania, Bulgaria e Serbia), rispetto al 2020, anno del Covid-19, si è registrato un aumento di un punto o anche di più, in altre nazioni, come Venezuela, Afghanistan e Libano, già in ginocchio a causa del proprio establishment, i punteggi sono prevedibilmente diminuiti. Ma c’è di più. Una moderata tendenza globale sta facendo espandere le percentuali di stress generali, dettate principalmente da preoccupazione e tristezza, entrambe aumentate dell’8% nel 2020 e del 4% nel 2021 rispetto ai livelli pre-pandemia, con un conseguente calo, anche se leggero, godimento della vita.
Per quanto riguarda i singoli paesi, la Finlandia si trova, ancora una volta, ad occupare la prima posizione, come nel rapporto del 2021, consolidando un trend più che positivo per i paesi del nord Europa. Otto paesi su dieci, infatti, appartengono alla Scandinavia e alle zone limitrofe, malgrado in queste regioni si registri, di contro, il più alto tasso di suicidi soprattutto fra i giovani. In qualche modo la civiltà perfetta non sembrerebbe rispecchiare la società perfetta, tuttavia le migliori condizioni lavorative, economiche, politiche e sociali fanno balzare questi Paesi in testa alla classifica, chiusa da Nuova Zelanda ed Israele in nona e decima posizione.
All’ultimo posto, il 146°, troviamo invece l’Afghanistan. La ripresa del poter da parte dei talebani, in un turbinio di elicotteri, bombe, minacce e fuga maldestra dell’esercito statunitense questa estate, ha condotto Kabul giù, nel baratro più profondo. Solo qualche giorno fa decine di donne, a costo della loro stessa vita, sono scese in piazza per protestare contro la decisione del regime di non riaprire le scuole femminili in occasione del primo giorno dell’anno scolastico afghano, ma non solo. Ogni anno l’inverno rigido di Kabul miete un sacco di vittime, soprattutto tra i bambini, la maggior parte ricoverati in ospedale con chiari segni di denutrizione, per i quali ora l’aspettativa di vita si è sensibilmente assottigliata.
Lo strano caso dell’Italia
L’Italia, dalla 25esima posizione dell’anno scorso, è scivolata alla 31esima, piazzandosi dopo l’Uruguay e prima del Kosovo; una condizione questa che stride. Nonostante infatti la crescita del PIL, la ripresa dell’economia – anche se con contratti e paghe discutibili – e la fantastica estate sportiva, gli italiani sono meno felici, forse ora anche di più dopo la mancata qualificazione, di nuovo, ai mondiali. Cosa è successo?
Intervistato da ‘La Stampa’, Salvatore Vassallo, docente di Scienza politica e analisi dell’opinione pubblica all’Università di Bologna, ha spiegato così i risultato del Bel Paese: “Si può giustificare con l’atteggiamento meno indulgente che hanno gli italiani nel giudicare se stessi più che un’effettiva situazione così negativa” – ha premesso il professore – “Sicuramente i paesi scandinavi, che guidano la classifica, hanno delle condizioni economiche migliori, degli standard ambientali e urbanistici di primo ordine, offrono delle migliori prestazioni sociali, le società sono più coese ma hanno anche i loro problemi. E sono pronto a scommettere che tanta gente nel mondo sogna di trasferirsi in Italia più che in paesi freddi e con poca luce come quelli”.
Insomma, non dovremmo preoccuparci più di tanto. Come detto prima, la felicità dipende da fattori ed esperienze personali che la rendono fugace e relativa. Eppure, è emerso compatto un sentimento comune capace di farci retrocedere di sei posizioni e questo, sempre a ‘La Stampa’, lo spiega bene Guido Ortona, esperto di economa sperimentale ed ex docente dell’Università del Piemonte orientale: “Nel 2020, secondo una mia impressione, proprio la pandemia e il lockdown hanno fatto emergere un sentimento di solidarietà e cooperazione negli italiani che invece, quando è ripartita la vita normale e i problemi di sempre, è stato messo da parte”.