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“Era la sua volontà”: finisce dopo 14 mesi l’agonia di Samantha D’Incà – la sua storia

Dopo oltre 14 mesi di silenzi, angoscia e sofferenza, Samantha D’Incà è morta sabato 19 marzo; la ragazza, di soli 30 anni, si trovava, irreversibilmente, in stato vegetativo. I genitori della giovane di Feltre, ricoverata nella Rsa di Cavarzano, hanno interrotto le cure che la tenevano in vita. Ma non è stato semplice.

Una lunghissima battaglia legale per chiedere lo stop all’alimentazione artificiale, infatti, ha preceduto la scelta sofferta dei coniugi D’Incà, ma la stessa Samantha avrebbe voluto così. Dopo essersi fratturata un femore nel novembre 2020, inizia la storia senza (lieto) fine della trentenne. Un intervento ormai di routine, infatti, le è stato fatale.

Tornata a casa dopo l’operazione, Samantha avverte subito di non sentirsi bene: dolori dappertutto e gonfiori hanno accompagnato la sua convalescenza, costringendola a tornare in ospedale per ulteriori accertamenti, ma il 4 dicembre 2020 la ragazza è entrata in coma, non svegliandosi più.

Un’operazione sbagliata: il caso D’Incà è malasanità?

Come è stato possibile che un semplice intervento al femore abbia portato al coma irreversibile e, successivamente, alla morte? Non è ancora chiaro cosa accadde quel giorno, ma è molto probabile che l’operazione abbia preso un esito insolito a causa di un batterio preso da Samantha in sala operatoria.

Giorgio e Genzianella D’Incà, non si sono persi d’animo e hanno sperato fino alla fine che Samantha si risvegliasse o mostrasse anche un minimo miglioramento, prima di prendere una decisione così importante sul destino della loro figlia. Una volta compreso purtroppo, però, che non c’era nulla da fare i due, sostenitori del diritto di scelta e della legge sull’eutanasia, hanno iniziato la loro battaglia per liberare Samantha dalla sofferenza di quella condizione di limbo, in cui, sì, non si è morti, ma essere in vita non consola.

Ed era la stessa Samantha a pensarla così e questo ha dato il coraggio a Giorgio e Genzianella di compiere un gesto simile. Come riportato da ‘La Repubblica’, infatti, la giovane avrebbe voluto così, come testimoniato dai genitori, dai fratelli e da chi la conosceva: “Sammy non avrebbe mai voluto una vita così, senza coscienza, dipendente da tutto e da tutti, lo diceva sempre durante la battaglia di Beppino Englaro per Eluana, e poi per Dj Fabo. La sua vita in quel letto, tra dolori e sofferenze, non è vita, non è dignità, è soltanto patimento”, ha spiegato il padre.

Ma il fine vita in Italia è un tema, anche ultimamente, molto dibattuto e confuso: più o meno intenzionalmente, infatti, si tende a sovrapporre il suicidio assistito e l’eutanasia, creando un polverone politico e mediatico attorno che rende difficile trovare un accordo completo, procedendo invece a singoli e piccoli passi, così come è successo al padre di Samantha.

Sono state necessarie diverse perizie che hanno certificato l’impossibilità di qualsiasi mutamento nella condizione di Samantha, sottolineando che l’unico trattamento che tiene in vita il suo corpo sia proprio la nutrizione artificiale, per arrivare alla conclusione del giudice tutelare che ha decretato che Giorgio D’Incà diventi amministratore di sostegno della figlia, in modo tale da permettergli di richiedere l’interruzione delle cure.

Così come è già previsto dalla legge sul fine vita del 2017: “Tale persona deve trovarsi nelle seguenti concomitanti condizioni: essere affetta da una patologia irreversibile e con prognosi infausta oppure essere portatrice di unacondizione clinica irreversibile, che cagioni sofferenze fisiche e psicologiche assolutamente intollerabili; essere tenuta in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale, la cui interruzione provocherebbe il decesso del paziente”.

Solo così è stato possibile per la famiglia D’Incà mettere un punto fermo su questa dolorosissima vicenda personale: “È la sua volontà, prima di salutarla però la porteremo per l’ultima volta a sentire il mare“, ha raccontato sempre Giorgio tra le lacrime a ‘La Repubblica’.

K. S.

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