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“Ha mentito dall’inizio”: clamorosa svolta nel caso di Simonetta Cesaroni – c’è un sospettato

A distanza di trendue anni si riapre uno dei cold case italiani e, soprattutto, romani, per eccellenza, quello di Via Poma. E spunta un nuovo sospettato, già ascoltato dagli inquirenti l’anno della morte della giovane

Quando si parla di cold case italiani, ossia dei casi di cronaca nera irrisolti, torneranno in mente due nomi in particolare: quello di Emanuela Orlandi e quello di Simonetta Cesaroni.

La morte di quest’ultima, in particolare, destò notevole clamore per la brutalità in cui avvenne e per l’assenza di un colpevole che, per 32 anni, è riuscito a farla franca.

Ma le cose potrebbero cambiare. A distanza di tutti questi anni, infatti, la procura ha riaperto il fascicolo e, di conseguenza, le indagini per la morte della Cesaroni, per la quale emerge un nuovo sospettato che, in realtà, venne già ascoltato dalla Polizia negli anni a ridosso dell’omicidio in occasione delle primissime indagini.

Ma prima di passare alle novità del caso vediamo, per chi non ne fosse al corrente, cosa successe alla vittima e il contesto in cui il brutale omicidio avvenne.

Il delitto di via Poma: chi ha ucciso Simonetta Cesaroni?

Simonetta Cesaroni nasce il 5 novembre 1969 a Roma, secondogenita della famiglia Cesaroni. La sorella più grande di cinque anni, Paola, e che sarà una delle protagoniste di quel terribile giorno.

Simonetta viveva con la famiglia nel quartiere di Cinecittà, nella zona sud di Roma e, nello specifico, adiacente al parco Centocelle.

La ragazza si diploma in lingue straniere, e padroneggia bene sia il francese che l’inglese, oltre che ottenere un diploma come ragioniera contabile e ad essere appassionata di pattinaggio artistico.

Descritta come una ragazza estremamente prudente, Simonetta trascorreva il tempo libero in compagnia dei suoi amici, fra lo sport e le serate in discoteca la sera.

Finiti gli studi, Simonetta inizialmente lavora in una profumeria nella zona Capannelle, ma viene assunta dopo qualche tempo come contabile da una piccola concessionaria di servizi gestita da Salvatore Volponi e il socio, Bizzocchi.

Come unica impiegata della ditta, Simonetta lavorava come contabile nei giorni di lunedì, mercoledì e il venerdì. Un lavoro che la ragazza, che ai tempi del suo decesso aveva 20 anni, svolgeva con il massimo del riserbo, almeno stando alle ricostruzioni fatte da chi lavorava con lei.

Le viene proposto, nel periodo di giugno del 1990, di fare un lavoro aggiuntivo, e quindi di lavorare due giorni a settimana in più nella sede di via Poma, dove Simonetta troverà la morte nella sede dell’Aiag, l’Associazione Italiana Alberghi Gioventù.

Tre settimane dopo l’inizio del suo lavoro presso quella sede, il 7 agosto del 1990, Simonetta viene uccisa con 29 coltellate da un assassino che, fino a oggi, non ha trovato ancora identità.

Il suo corpo senza vita viene rinvenuto alle 23.30 di sera dal suo titolare, Volponi, e dalla sorella che, allarmata dal fatto che Simonetta non rispondesse più, decise di recarsi con l’uomo presso l’ufficio dove la donna era andata a lavorare.

L’ufficio, situato appunto in via Poma 2, era all’interno di uno stabile che, visto il periodo di agosto, era praticamente semivuoto.

Il cadavere della ventenne viene rinvenuto in un ufficio chiuso a chiave, ma non dove la vittima era solita lavorare. Viene ritrovata nuda, senza alcun indumento e alcuni dei vestiti e dei suoi effetti personali scomparsi, con le scarpe sistemate vicino la porta.

L’arma del delitto non venne ritrovata, ma si ipotizza che sia stato utilizzato un tagliacarte.

Un elemento che salterà subito all’attenzione degli inquirenti e di tutti è il fatto che Simonetta lavorasse in un ufficio aperto al pubblico solo ed esclusivamente di mattina. Di pomeriggio l’unica a lavorare nella sede era proprio Simonetta, che aveva avuto specifiche istruzioni di non aprire, categoricamente, a nessuno.

La ragazza, però, quel pomeriggio apre a qualcuno. Se viene descritta come una dipendente molto precisa e puntuale, che non aveva mai sbagliato nulla sul posto di lavoro, a chi è che apre?

Tre giorni dopo il ritrovamento del corpo Simonetta per il suo omicidio viene arrestato Pietro Vanacore – morto poi suicida nel 2010 – allora portiere del palazzo dove lavorava Simonetta.

Le accuse vengono poi prosciolte nel 1993 dal giudice delle indagini preliminari in quanto “il fatto non sussiste”. La decisione divenne poi definitiva nel 1995, a seguito del ricorso in Cassazione.

Viene iscritto poi nel registro degli indagati il titolare della ditta dove la vittima lavorava, Volponi, e l’ex fidanzato di Simonetta, tale Raniero Brusco, con cui Simonetta aveva una relazione complicata ma, soprattutto, un amore non ricambiato se non con affetto e rapporti sessuali.

Quest’ultimo venne condannato in primo grado a 24 anni di reclusione, ma anche nei suoi confronti le accuse caddero, dopo che la sentenza venne ribaltata in Appello e l’assoluzione nel 2014 dopo che i giudici della Corte Suprema definirono banali “congetture” gli elementi che vennero presentati come prova dell’omicidio.

Nella vita di Simonetta, però, oltre a Raniero, di cui la ragazza nel suo diario scriveva di un ragazzo che voleva da lei solo rapporti sessuali e un’amicizia, c’era un’altra inquietante presenza.

Si tratta di uno stalker telefonico, che la chiamava nella sede di via Poma frequentemente. Va, tuttavia, specificato un elemento: se la ragazza non aveva neanche specificato alla sua famiglia che lavorava in quella via, come faceva quest’uomo a saperlo?

Quest’elemento è stato più volte trattato nel caso appena si aprirono le indagini.

Un giallo estremamente completo, quello di via Poma, nel quale si susseguirono persino false testimonianze come quella di Roland Voller, un uomo austriaco informatore della polizia che accusò Federico Valle, l’altro titolare, di essere il responsabile del delitto.

Ambigui anche i suicidi, come quello di Vanacore che si tolse la vita gettandosi in mare a causa delle “sofferenze subite in 20 anni”, come scrisse lui stesso nella lettera d’addio lasciata prima del tragico gesto.

Un filone, come riporta il Giornale, portò persino all’ipotesi che la vittima fosse rimasta coinvolta in un intreccio di affari illeciti che la Cesaroni aveva scoperto e che riguardavano i alcuni personaggi dei servizi e alcuni programmi di cooperazione con la Somalia.

Al punto, si legge, che si giunse a collegare la sua morte con il suicidio del colonnello del Sismi nel ’95 Mario Ferraro.

Ma rimasero solo congetture che non trovarono un responso effettivo nelle prove concrete.

C’è un nuovo sospettato per il delitto di Simonetta Cesaroni

La procura romana ha deciso di riaprire il caso. Ma qual è stata la ragione che li ha spinti a far ripartire nuovamente le indagini su uno dei più eclatanti cold case d’Italia?

Sono state le dichiarazioni di un testimone chiave a far riaprire il fascicolo ormai chiuso da anni, il quale non solo si arricchisce di nuovi elementi, ma porta a rinnovare le accuse su un vecchio sospettato.

Dopo 20 anni di indagini nelle quali sono stati commessi errori eclatanti, come riporta il Giornale, fra i quali il fatto che l’arma del delitto non venne cercata nel cassonetto del palazzo, i magistrati decidono di ripartire totalmente da zero.

Oggetto cardine delle nuove indagini le dichiarazioni rilasciate dall’allora dirigente della squadra mobile di Roma, Antonio del Greco.

Non è dato sapere cosa quest’ultimo abbia raccontato agli inquirenti, sull’uomo che, già ai tempi, venne indagato dalla polizia e più volte ascoltato come iscritto nel registro degli indagati.

Su di lui caddero le accuse a seguito di una sorta di vuoto temporale nei racconti del custode e che riguardava proprio l’ora del delitto, ossia l’arco temporale fra le 17,30 e le 18,30 del 7 agosto 1990.

Dai racconti del poliziotto sarebbero emersi elementi tali da far scattare un nuovo avviso di garanzia e, di conseguenza, a una concreta possibilità che si torni in tribunale con un accusato, questa volta, si spera, quello giusto.

Un delitto, quello della Cesaroni, che ha riguardato tutta la nazione anche a seguito della formulazione di ipotesi veramente complesse su quelli che potessero essere i movimenti del delitto e che hanno persino fatto pensare a la Banda della Magliana.

Una delle piste, infatti, riguarda l’ipotesi che Simonetta fosse stata coinvolta, senza il suo volere, in importantissimi segreti presenti nell’archivio della ditta per cui lavorava, e che sarebbero la prova di favori fatti dalla ragazza alla banda con il benestare del Vaticano e la complicità dei servizi segreti italiani.

Quell’ipotesi venne poi abbandonata a seguito della mancanza di prove, come, d’altronde, anche le precedenti, le quali erano troppo complesse da poter dimostrare come vere.

La speranza della famiglia è che le nuove dichiarazioni portino a una svolta concreta nel caso e, soprattutto, all’individuazione del responsabile che tolse la vita a Simonetta nel fiore dei suoi anni.

Martina De Marco

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