Le parole dell’imprenditore veneziano tenuto ostaggio nelle carceri in Sudan per un anno. La gioia dei famigliari e la rabbia per l’inadempienza della Farnesina da parte del padre: “Che almeno non rilascino retorici comunicati, a salvarlo sono stati…”
E’ tornato a casa Marco Zennaro, l’imprenditore veneto tenuto ostaggio nelle carceri del Sudan da un anno di cui abbiamo parlato in questo articolo.
L’ingegnere era bloccato in prigione a causa di una disputa commerciale nata a seguito di una vendita di trasformatori elettrici al Sudan.
Una vicenda, la sua, estremamente intricata e fatta di ingiustizie e abusi di potere da parte dei militari che, lo scorso ottobre, hanno messo in piedi un golpe rovesciando il governo.
Marco per fortuna ora è a casa, ma le parole per il suo rientro non sono solo parole di gioia. Tantissima, infatti, la rabbia da parte del padre nei confronti della Farnesina, che dopo tanto parlare, secondo l’uomo, non è riuscita a portare sano e salvo il figlio in Italia.
Ad accorrere ai ripari, infatti, un accordo di tipo economico, che nulla avrebbe a che vedere con le attività diplomatiche.
Anticipando quelli che sono stati i comunicati ufficiali, il papà dell’imprenditore, Cristiano Zennaro, aveva rilasciato delle dichiarazioni in anteprima all’Adnkronos:
“Confermo la partenza di Marco dal Sudan. Dopo 361 giorni finalmente l’incubo è finito – ha spiegato – “Ringrazio mio figlio per essere sopravvissuto a quei 75 terribili e infernali giorni di detenzione. Ringrazio la famiglia per aver trovato in tempi brevi le risorse finanziarie per far cessare la detenzione”.
Cristiano Zennaro ha poi voluto rivolgere i suoi più sentiti ringraziamenti ai dipendenti dell’azienda “per aver portato avanti l’attività con grande senso di responsabilità pur in assenza del loro titolare. Il mio pensiero – ha inoltre aggiunto – va a quelle 50mila persone che hanno fatto sentire a Marco con manifestazioni sempre pacifiche l’affetto della comunità veneziana”.
Le accuse nei confronti di Marco sono, fortunatamente, cadute, e resta in piedi solo una causa civile.
Ma anche il ritorno non è stato per niente facile. Come riportato da il Corriere, infatti, su Khartoum, dove Marco era imprigionato, si è abbattuta una tempesta di sabbia, mentre a Istanbul ce n’è stata una di neve.
Un’odissea vera e propria, che fortunatamente si è conclusa nel migliore dei modi. “Come sto?” – chiede retoricamente – “Sono astrattamente felice, provo la gioia che esprimono i santi negli affreschi delle chiese, ha presente?”.
Parole di encomio ed estrema gratitudine, poi, per chi l’ha salvato, affidate nell’intervista al Corriere.
Ha voluto, anzitutto, ringraziare Venezia, la sua città, che si è spesa in tantissime iniziative volte a riportare Marco a casa.
Quest’ultimo è riuscito a fare rientro in Italia, si legge su Dagospia, grazie al denaro “raccolto dalla famiglia e da unioncamere venete”.
Sui ringraziamenti, poi, ne ha voluti fare due in particolare: “Io devo ringraziare mille persone, sul serio. Ma in cima alla lista metto due dottoresse: Anna Paola Borsa e Lucia Ceschin, psicologa e psichiatra dell’associazione Emdr che pazientemente, con professionalità, mi hanno fornito quel supporto psicologico necessario a superare alcuni momenti di difficoltà assoluta”.
L’imprenditore ha poi ringraziato Sergio, Emilio e Nino, “i tre carabinieri dell’ambasciata che mi hanno veramente trattato come fossi un fratello aiutandomi a superare i giorni più duri, come il Natale.”
Una mobilitazione non indifferente, quella veneta, considerando che le associazioni imprenditoriali sono state in grado di raccogliere 200mila euro:
“Gliel’ho detto, devo ringraziare mille persone” – dice Zennaro al Corriere – “il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro (ha versato 50 mila euro, ndr), Luca Zaia, il professor Giorgio Orsoni, che con il dottor Vignali della Farnesina sono stati in contatto quotidiano per seguire la mia situazione”.
Marco per fortuna ora è a casa, ma le critiche alla Farnesina mosse dal padre dell’imprenditore non si accingono a fermarsi, ma non pensa la stessa cosa il figlio:
“Siamo in un Paese libero. Io, però, non la vedo come la vede mio padre, io non mi sono mai sentito abbandonato. Avrei voluto che le cose si svolgessero in maniera diversa ma non si può chiedere ciò che non si può avere”.
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