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Esteri

Cosa si cela dietro la denazificazione dell’Ucraina promossa da Putin? Storia dell’antisemitismo nell’Europa dell’Est

Nel 2005 esce una vera perla della produzione cinematografica di nicchia: “Ogni cosa è illuminata“. Racconta il viaggio di un giovane americano ebreo, Jonathan, alla ricerca delle sue radici ucraine, il nonno, infatti, è stato costretto ad abbandonare lo sperduto villaggio rurale natio nella regione di Lutsk, Trochenbrod, dopo che i nazisti hanno sterminato tutti gli abitanti ebrei della zona.

Il viaggio “on the road” a bordo di una Trabant, tra paesaggi incontaminati, colori accesi ma che rimangono sullo sfondo e tradizioni lontane, porta alla fine ad un’angosciante consapevolezza: anche la popolazione slava ucraina era responsabile delle persecuzioni contro gli ebrei, ancora prima che vi arrivassero i tedeschi.

L’antisemitismo, infatti, è un “sentimento” diffuso, difficile da estirpare, ma facile da strumentalizzare, un po’ come stanno facendo da mesi, non da una settimana, il Presidente russo Vladimir Putin e il Ministro degli affari esteri Sergej Viktorovič Lavrov. E’ quella meschina carta vincente che consente di giustificare, sotto lo scudo della giustizia, qualsiasi atrocità si voglia commettere, ponendo in chi ascolta una sorta di spontaneo senso di colpa, perché non si è intervenuto o non si è fatto nulla prima.

Denazificare l’Ucraina: il processo di un pretesto

Già a novembre dell’anno scorso, Sergey Lavrov aveva acceso i riflettori sulla presunta marea crescente di nazionalismo, antisemitismo e russofobia in numerosi paesi europei, in particolare in Ucraina e nei Paesi baltici, rivolgendosi ai partecipanti alla terza conferenza internazionale di Mosca sulla protezione del futuro sulla lotta alla xenofobia, all’antisemitismo e al razzismo.

“Purtroppo, in numerosi paesi europei, in particolare in Ucraina e negli Stati baltici, sono aumentate le manifestazioni di nazionalismo, antisemitismo e russofobia” – aveva sottolineato il ministro degli Esteri così come riportato dalla ‘Tass’, l’agenzia di stampa russa – “La proliferazione assoluta del dogma misantropico è impazzita, mentre le attività di neonazisti e altri radicali si sono intensificati”.

Lavrov, già allora, aveva puntato l’attenzione sul fatto che tali sfide richiedono una risposta da parte della comunità internazionale: “A questo proposito, la diplomazia russa è aperta a un’ampia cooperazione con tutti, comprese le comunità ebraiche della Russia e di altri paesi”, ma sappiamo bene che la cooperazione non c’è stata e ora il ministro, a distanza di  tre mesi, parla in conferenza stampa da paese invasore: “Il nostro obiettivo in questa vicenda non è solo la demilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina, per fare in modo che gli ucraini possano scegliere liberamente da che parte stare. Noi vogliamo anche riconsiderare l’intero ordine mondiale, che oggi pende dalla parte dell’Occidente. Anche di questo dovremo parlare al tavolo delle trattative”. Ma esiste davvero un proliferante neonazismo da estirpare in Ucraina?

Partiamo da una considerazione, per nulla scontata: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelens’kyj, è ebreo e proviene da una famiglia parzialmente sterminata dai nazisti, pertanto sarebbe molto difficile far convivere sotto lo stesso tetto governativo i nazisti e Zelens’ky. Inoltre, all’interno del Paese esistono oggi 160 comunità ebraiche e sono anche molti gli ebrei che si sono uniti alle milizie volontarie ucraine per combattere contro l’esercito russo.

Ma c’è di più. Come riportato dal ‘Corriere della Sera’, il rabbino capo di Kiev, Meir Stambler, intervistato dal ‘Jewish Chronicle’ si è espresso così rispetto all’operazione speciale militare da parte del Cremlino : “Gli ebrei d’Ucraina combatteranno a fianco dei loro vicini contro l’invasione russa. È vero, questo Paese è intriso del nostro sangue e la nostra Storia, qui, è complessa e dolorosa. Ma gli ultimi anni sono stati buoni, abbiamo un’ottima relazione con i nostri concittadini e condividiamo le sofferenze di questa assurda invasione: fianco a fianco”.

Ucraini ed ebrei, insomma, si trovano dallo stesso lato della barricata, cosa che non si può dire invece dei gruppi di estrema destra presenti all’interno Paese. Malgrado non prendano mai più del 2% di preferenze, dimostrando così la loro valenza nulla durante le elezioni, i gruppi nazionalisti ucraini sono attivi solo nel Donbass, proprio in quell’area separatista filorussa ora autoproclamatasi indipendente sotto la salda guida di Putin.

La liberazione di chi?

E mantenendo il lessico cinematografico, possiamo parlare a questo punto di un vero e proprio plot twist. In un articolo del ‘Guardian’ si legge come: “Al centro del fascismo europeo c’è l’idea che siano gli ebrei gli agenti del decadimento morale. Secondo il fascismo europeo, sono gli ebrei che portano un paese sotto il dominio dell’élite globale (ebraica), utilizzando gli strumenti della democrazia liberale, dell’umanesimo laico, del femminismo e dei diritti dei gay, che sono usati per introdurre decadenza, debolezza e impurità. L’antisemitismo fascista è di origine razziale piuttosto che religiosa, e prende di mira gli ebrei come una razza apolide corrotta che cerca il dominio globale”.

Ed è in questo clima di tensione latente e di corruzione della morale che fa il suo ingresso trionfale Putin. La denazificazione dell’Ucraina, infatti, è uno specchietto per le allodole, perché l’antisemitismo contemporaneo dell’Europa orientale si fonda sull’idea che gli ebrei erano, e sono, i veri agenti della violenza contro i cristiani russi che erano, a loro volta, le vere vittime dei nazisti. I cristiani russi sono bersagli di una cospirazione da parte di un’élite globale, che, usando il vocabolario della democrazia liberale e dei diritti umani, attacca la fede cristiana e la nazione russa.

In qualche modo, quando il presidente russo parla alla nazione della “denazificazione” dell’Ucraina, lo fa con l’intento di voler fermare proprio gli ebrei. In qualche modo Putin non mente a se stesso, né agli altri, ma ribalta completamente i protagonisti della nostra storia contemporanea, in virtù di un principio intrinseco antisemita che non ha ancora abbandonato tanto i paesi dell’Est, quanto quelli dell’Ovest. Ma è sempre stato così?

L’antisemitismo nei paesi dell’Europa Orientale: storia di un’élite

Se oggi, quindi, l’antisemitismo dell’Europa Orientale è arroccato nella convinzione che il tema dell’Olocausto sia troppo utilizzato dagli ebrei, tanto che in Polonia, quasi tre persone su quattro concordano sul fatto che la comunità ebraica abusi dell’argomentazione e in Ungheria, invece, la campagna del governo nazionalista contro il finanziere ebreo George Soros, avrebbe portato il 25% della popolazione a credere che gli ebrei vogliano indebolire la cultura nazionale finanziando l’immigrazione nel Paese, in passato l’origine dell’odio contro gli ebrei si basava su altro.

Anche se prendono piede sistematicamente solo nel XIX secolo, i pogrom, le sommosse antisemite, hanno scandito la storia del popolo ebraico, da sempre capro espiatorio del malcontento popolare. In qualche modo, ogni problema era riconducibile agli ebrei, alla loro storia e alla loro fortuna finanziaria che faceva da cassa di risonanza alle difficoltà economiche e politiche dei Paesi in cui vivevano.

Il primo grande ed importante pogrom nei paesi dell’Est Europa si registra nel 1648, durante la rivolta di Chmel’nyc’kyj, in Ucraina ed in Polonia, che ha mietuto più di 100.000 vittime. L’insurrezione fu accompagnata da atrocità di massa commesse dai cosacchi e contadini contro la popolazione civile, in particolare contro il clero cattolico romano e gli ebrei, che coinvolti nella gestione del commercio nel paese, furono visti dai contadini come loro diretti oppressori.

Ma l’antisemitismo in Ucraina, ai tempi dello zarismo, è stato effettivamente un problema storico nel paese, diffondendosi maggiormente nel ventesimo secolo. Un terzo degli ebrei d’Europa visse in precedenza in Ucraina tra il 1791 e il 1917, all’interno del Pale of Settlement: la grande concentrazione di ebrei in questa regione li ha resi negli anni un facile bersaglio di azioni e pogrom antisemiti.

Dopo la pubblicazione del Manifesto di ottobre, che prometteva ai cittadini russi i diritti civili, molti ebrei che vivevano nelle città delle Pale of Settlement si recarono alle manifestazioni contro il governo. Per i residenti locali questo era il pretesto per avviare una nuova ondata di pogrom contro gli ebrei.

Nel febbraio 1905 si verificò un pogrom a Feodosia, il 19 aprile dello stesso anno se ne verificò uno a Melitopol, ma il più grave resta quello di Odessa: 300 ebrei furono uccisi e migliaia rimasero feriti da parte di lavoratori dei treni, commercianti di negozi locali, artigiani e industriali.

Durante la guerra civile russa, da una parte i bolscevichi dall’altra i sostenitori dello Zar, tra il 1918 e il 1921, un totale di 1.236 incidenti violenti contro gli ebrei si verificarono in 524 città dell’Ucraina. Dei 1.236 pogrom registrati, 493 furono perpetrati da soldati della Repubblica popolare ucraina sotto il comando di Symon Petliura, 307 da signori della guerra ucraini indipendenti, 213 dall’esercito di Denikin, 106 dall’Armata Rossa e 32 dall’esercito polacco. Poi arrivarono i nazisti.

L’operazione Barbarossa del 1941 riunì le popolazioni autoctone ucraine dell’Ucraina sovietica e i territori della Polonia annessi dall’Unione Sovietica, sotto il controllo amministrativo tedesco del Reichskommissariat. Molti storici sostengono che la distruzione della popolazione ebraica dell’Ucraina, ridotta da 870.000 a 17.000, non avrebbe potuto essere compiuta senza l’aiuto della popolazione locale: per i tedeschi, infatti, era fondamentale la collaborazione ucraina per raggiungere tutte le comunità che furono annientate, soprattutto nei villaggi remoti, come Trochenbrod, dove è vissuto realmente il nonno di Jonathan.

K. S.

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