La guerra in Ucraina ha riacceso, ma già prima che si entrasse nel vivo del conflitto, un fuoco mai spentosi del tutto. Sono tornati infatti, o forse sarebbe meglio dire che non se ne sono mai andati, sentimenti contrastanti sulla Russia, sulla sua storia e sulla sua percezione in Occidente. Questo sentimento, quasi atavico, prende un nome bene preciso; stiamo parlando, infatti, della “Russofobia“, ovvero di un marcato senso di paura e diffidenza nei confronti della Russia e della sua cultura.
E’ bene chiarire un aspetto però: malgrado il termine sia stato ripreso e fatto proprio dal governo russo per contrastare, tramite la macchina della propaganda, le critiche alla politica del governo, tant’è che nel 2006, il poeta e saggista Lev Rubinstein ha scritto che, analogamente al termine “fascismo”, il termine “russofobia” è diventato un adesivo politico appiccicato frettolosamente e superficialmente addosso alle persone che non sono d’accordo con le parole o le azioni di persone o organizzazioni che si posizionano come “russe” in senso ideologico, piuttosto che etnico o geografico, il sentimento antirusso c’è, esiste e ha una sua valenza nella storia occidentale.
C’è stato addirittura un momento nella nostra storia contemporanea – pregno di russofobia, anche se più legata all’assetto politico del Paese sotto il partito comunista – in cui la propaganda nazista ha considerato il popolo russo alla stregua di una razza subumana inferiore, proprio come gli ebrei, gli stessi che venivano stigmatizzati, però, dalla Russia zarista durante i pogrom, le sanguinose sommosse contro gli giudei, considerati capri espiatori del malcontento popolare a Mosca e non solo.
Tuttavia, questo sentimento antirusso, oltre ad essere presente ai giorni nostri, ha radici molto profonde nel passato, prima ancora della comparsa del Terzo Reich. Cerchiamo di capire, quindi, da dove, come nasce e si sviluppa la russofobia.
Alle origini della russofobia
Il 19 ottobre 1797 il Direttorio francese ricevette un documento da un generale polacco, Michał Sokolnicki, intitolato “Aperçu sur la Russie” (Panoramica sulla Russia), e divenne noto come la cosiddetta “Volontà di Pietro il Grande“, pubblicata per la prima volta nell’ottobre 1812, durante le guerre napoleoniche.
Fu per volere di Napoleone I, infatti, se il documento venne divulgato per dimostrare come l’Europa stesse inevitabilmente per diventare un bottino per la Russia. Dopo le guerre napoleoniche, la propaganda contro la Russia fu perpetrata dall’ex confessore di Napoleone, Dominique Georges-Frédéric de Pradt, che in una serie di libri ritrasse l’impero russo come una potenza barbarica assetata di potere e affamata nella conquista dell’Europa.
Complice di queste posizioni così nette e dure contro la Russia, fu sicuramente l’assetto economico-sociale consolidato sotto gli zar: la Russia, infatti, abolì la servitù della gleba solo nel 1861, un ritardo mostruoso rispetto ai canoni occidentali; stiamo parlando, insomma, di una superpotenza feroce e arretrata, un mix letale se mal gestito.
Proprio per questo, a partire dal 1815 e fino al 1840 circa, i commentatori britannici iniziarono a criticare l’estremo conservatorismo dello stato russo e la sua resistenza agli sforzi riformisti. Tuttavia, la russofobia in Gran Bretagna per il resto del XIX secolo era principalmente incentrata, nonché relegata, sui timori britannici che la conquista russa dell’Asia centrale fosse solo l’inizio di un attacco all’India, all’epoca sotto egemonia inglese.
Nel 1843 il marchese de Custine (viaggiatore e scrittore francese) pubblicò il suo diario di viaggio di grande successo di 1800 pagine e quattro volumi “La Russie en 1839”. La feroce narrativa di Custine ripercorre quelli che erano ormai dei cliché che presentavano la Russia come un luogo in cui la patina della civiltà europea era troppo sottile per essere credibile. Uno scenario impietoso che non fece che rafforzare l’idea della Russia come un posto selvaggio ed inospitale.
Ma prima di allora si parlava di sentimento antirusso senza aver effettivamente coniato un termine che descrivesse appieno questa repulsione. Solo nel 1867, Fyodor Tyutchev, poeta, diplomatico russo e membro della Cancelleria di Sua Maestà Imperiale, introdusse il concetto di “russofobia” in una lettera a sua figlia Anna Aksakova il 20 settembre 1867, che in qualche modo prendeva di mira i russi liberali che, fingendo di seguire semplicemente i loro principi liberali, hanno sviluppato un atteggiamento negativo nei confronti del proprio paese e si sono sempre schierati su una posizione filo-occidentale e anti-russa, indipendentemente da qualsiasi cambiamento nella società russa.
In altre parole, Tyutchev ha cercato di porre l’accento sull’irrazionalità di questo sentimento che era il risultato di un malinteso causato dalle differenze di civiltà tra Oriente e Occidente.
La situazione si complicò tuttavia, a tratti degenerando, dopo la rivoluzione russa del 1917. La paura dello “spettro del comunismo che si aggirasse per tutta l’Europa” portò a consolidare in Occidente un sentimento di avversione contro la Russia bolscevica. Nessuno voleva la classe operaia e contadina al potere e tutti in Europa temevano che i venti della rivoluzione soffiassero così forte da portare scompiglio dentro i propri confini nazionali: la rivolta spartachista guidata da Rosa Luxemburg a Berlino ed il biennio rosso in Italia furono dei tentativi di rivolta concreti, ma troppo deboli, repressi nel sangue.
La guerra fredda e il cattivo di Hollywood
Ma è con la fine della Seconda Guerra Mondiale e la polarizzazione tra Occidente ed Oriente che si consolida il sentimento antirusso. “I comunisti mangiano i bambini“, ad esempio, fu solo una delle frasi usate in quel periodo per screditare il nemico russo, che diventava sempre più potente, e pericoloso, a causa della crescita esponenziale del suo arsenale militare nucleare.
Anche Hollywood, la “propaganda” americana in pectore, fece la sua parte nel ritrarre i russi come uomini cattivi, capaci di tutto: il primo 007 “Licenza di uccidere” ha come cattivo proprio il Dr. Julius No, il cui intento è sabotare le missioni spaziali per vendetta e per conto della SPECTRE, un’organizzazione criminale immaginaria molto simile però all’Unione Sovietica che viene invece direttamente citata nel libro Ian Fleming.
Film di spionaggio a parte, ci sono anche altri riferimenti cinematografici e non solo che ritraggono i russi sempre da antagonisti. Basti pensare a Ivan Drago in Rocky IV che in maniera leggera riprende proprio lo scontro tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, facendo vincere la prima sulla seconda. Indimenticabile è, infatti, il match finale tra i due che ha più il sapore di una guerra che non di un incontro pugilistico.
Insomma, gli anni della Guerra Fredda furono decisivi per la creazione del mito del russo rude e brutale. Proprio per questo, si generò una frequente confusione tra russi e comunisti/sovietici che tendeva a sovrapporli. Nel 1973, un gruppo di immigrati russi negli Stati Uniti fondò il Congresso dei russi americani con lo scopo di tracciare una chiara distinzione tra identità nazionale russa e ideologia sovietica e prevenire la formazione di sentimenti antirussi sulla base dell’anticomunismo occidentale. I membri del Congresso vedono la fusione stessa come russofobica, ritenendo che i russi siano stati la prima e principale vittima del comunismo internazionale.
La russofobia oggi
Arrivando ai giorni nostri, eventi recenti come l’annessione della Crimea alla Federazione Russa, la guerra civile siriana, le accuse di ingerenza russa nelle elezioni statunitensi del 2016, il maltrattamento delle persone LGBT in Russia a seguito dell’approvazione di una legge di propaganda anti-LGBT nel paese del 2013 e la presunta collusione tra la campagna presidenziale di Donald Trump e la Russia, hanno inasprito il sentimento antirusso in tutto il mondo, amplificando di molto il suo impatto negativo.
Un sondaggio condotto da Yougov nel 2020 ha dimostrato come la diffidenza nei confronti della Russia sia aumentata soprattutto tra i paesi europei come la Danimarca che registra un percezione estremamente negativa (70%), il Regno Unito (68%)e la Polonia (63%). Una posizione più morbida, invece, hanno altri Stati come la Germania (54%), la Francia (42%) e l’Italia (34%).
Un discorso a parte, va fatto per gli Stati Uniti, gli eterni rivali della Russia che se già consideravano in maniera negativa il Cremlino, con l’invasione dell’Ucraina non hanno fatto altro che confermare la loro avversione.
Cosa ne pensano gli americani ora?
Un’ampia e bipartisan maggioranza di americani, infatti, sostiene le sanzioni economiche alla Russia a seguito dell’invasione militare dell’Ucraina e, secondo un sondaggio di Washington Post-ABC News, l’avversione pubblica degli USA nei confronti della Russia è salita in questo modo ai livelli della Guerra Fredda.
Ma mentre l’invasione ha prodotto un consenso bipartisan e nettamente negativo sulla Russia, le divergenze d’opinione sul presidente Joe Biden restano. Nel complesso, il presidente ha ricevuto voti negativi per il modo in cui ha gestito la situazione, con il 33% di consensi e il 47% di disappunto, mentre un altro 20% non si esprime.
Il sondaggio congiunto del Washington Post e dell’ABC è stato condotto da domenica a giovedì. L’assalto russo è iniziato all’inizio della settimana con l’ordine del presidente Vladimir Putin di far entrare le truppe nei settori indipendentisti dell’Ucraina, ma il conflitto ha preso contorni più chiari e si è intensificato giovedì con attacchi in tutto il paese e un’invasione di terra che avanza, ancora oggi, in diverse aree del Paese tra cui Kiev.
Due terzi degli americani (il 67%) appoggia gli Stati Uniti e i suoi alleati europei sulla scelta di imporre sanzioni economiche alla Russia, mentre il 20% si oppone alle sanzioni e il 13% non si esprime. Circa la metà degli intervistati ha affermato che sosterrebbe comunque le sanzioni se si dovessero tradurre in un aumento dei prezzi dell’energia negli Stati Uniti, anche se in tal caso l’opposizione sale a un terzo.
Circa 8 democratici su 10 sostengono le sanzioni economiche alla Russia in generale, così come circa 6 repubblicani su 10. Meno della metà dei repubblicani, però, sosterrebbe le sanzioni se ciò dovesse comportare un aumento dei prezzi dell’energia (44%), ma il 62% dei democratici afferma che continuerebbe a sostenere le sanzioni anche se dovesse realizzarsi uno scenario economico simile.
Com’era prevedibile, l’immagine della Russia ha raggiunto il minimo storico da tre decenni, con l’80% degli americani che vede il paese in modo negativo, incluso il 41% che afferma che sia un “nemico” per gli Stati Uniti. Come riportato dal Washington Post, questi risultati sono simili a un sondaggio Harris del 1987, quando il 39% vedeva nella Russia un nemico. L’antipatia rimane inferiore rispetto al 1983, durante un periodo particolarmente gelido della Guerra Fredda al primo mandato del presidente Ronald Reagan, quando ben il 63% degli americani intravedeva nella Russia un pericolo.
Data la divisione faziosa nel paese, Democratici e Repubblicani generalmente prendono posizioni opposte su questioni attuali. Eppure, sulla crisi in Ucraina, sono relativamente uniti nelle loro opinioni più che negative sulla Russia. Più di tre quarti dei Democratici e dei Repubblicani considerano, infatti, negativamente la Russia, compreso il 47% dei Democratici e il 40% dei Repubblicani che la considerano un minaccia, confermando così il trend negativo, soprattutto in questi ultimi giorni di guerra.
E’ interessante notare però la posizione europea al riguardo – prima ancora che scoppiasse il conflitto – che, in qualche modo riflette l’opinione dei propri cittadini. Secondo un sondaggio realizzato a fine gennaio dallo European Council on Foreign Relations (ECFR), in Francia, Italia e Germania appena 4 intervistati su 10, circa, ritenevano che il proprio paese dovesse scendere in campo per difendere l’Ucraina in caso di attacco della Russia.
Un atteggiamento questo sintomatico che riflette anche l’impossibilità attuale di creare un esercito unico europeo: è ancora molto radicata la convinzione che gli Stati Membri, malgrado siano sotto la stessa Unione politica ed economica, non siano in grado di proiettarsi al di fuori dei propri confini nazionali. E infatti la prospettiva di inviare soldati occidentali a combattere in Ucraina non è mai stata davvero sul tavolo delle trattative, anche se ora non si può più parlare di un’operazione militare speciale, così come affermato da Putin in precedenza.