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Insider, Saviano faccia a faccia con un “brigante”: la storia di Giuseppe Misso

Torna stasera alle 21:45 col suo terzo appuntamento su Rai tre ‘Insider. Faccia a faccia con il crimine’, il programma di Saviano che indaga l’universo sotterraneo del criminalità organizzata, attraverso racconti e testimonianze di pentiti, agenti infiltrati e persone che, per un motivo o per un altro, hanno avuto a che fare con la malavita.

Dopo aver ospitato Anna Carrino e la deputata Piera Aiello, questa volta il faccia a faccia dello scrittore di “Gomorra” sarà con Giuseppe Misso: “Negli anni ’90, il suo clan ha seminato morte e paura a Napoli. Ma Giuseppe Misso non è pentito, non si è mai nemmeno definito un camorrista. Dal 2007 collabora con la giustizia, ma preferisce chiamarsi “chiarificatore”. È lui l’#INSIDER di stasera, ore 21:45 su @instarai3″, scrive Saviano sui social presentando il suo “ospite” di stasera.

Il boss del Rione Sanità

Nato a Napoli il 6 luglio 1947, Giuseppe Misso, Missi all’anagrafe per un errore di trascrizione all’anagrafe comunale, è il fondatore del clan Misso, diventando con la sua banda uno dei camorristi più feroci e potenti di Napoli. Eppure, pur condannato per associazione mafiosa, non ha mai amato definirsi un camorrista, ovvero un uomo della malavita.

I suoi primi anni di vita e l’adolescenza li passa al Rione Sanità, finché, a 14 anni ed un giorno non finisce in carcere a seguito di una rapina in coppia con il suo amico d’infanzia Luigi Giuliano. La loro amicizia si interrompe bruscamente quando Giuliano, arrestato, accompagna i carabinieri a notte fonda a casa del complice, Misso, che così viene arrestato dopo esser riuscito a fuggire.

Una volta uscito dal carcere nel 1979, decide di mettere la testa a posto aprendo un negozio di abbigliamento e rifiutandosi di schierarsi con Giuliano, diventato boss di Forcella, contro i cutoliani, suoi rivali. Ma la vita ha in serbo altro per lui.

Gli uomini di Giuliano, infatti, cominciano a chiedergli il pizzo, una richiesta che Misso non può assecondare e che sceglie di risolvere, a modo suo, fondando il clan Misso: “Io e i miei amici ci armammo fino ai denti, decisi a tutto. Di Forcella conoscevo tutti i vicoli. Sequestrammo in un basso i familiari di Giuliano e li picchiammo” – ha raccontato Misso in un interrogatorio – “Poi con un gesto simbolico riaprimmo la sede. Con quel gesto il prestigio camorristico di Giuliano fu compromesso. Dopo quell’azione temeraria e plateale tra noi non poteva esserci più pace”.

Da quel momento inizia la sua “carriera” criminale: sono da attribuire a lui la rapina da 5 miliardi al Banco dei Pegni di Napoli e di quella da quasi un miliardo a una gioielleria. Tuttavia, se si chiedeva al Boss se lui si sentisse un camorrista, lui rispondeva che in realtà non solo non lo era, ma che anzi ha sempre combattuto la Camorra e la sopraffazione in generale.

Insomma, si è sempre considerato più un brigante ottocentesco che non un mafioso lui, che con una straordinaria conoscenza della letteratura, ama infatti Pavese, Kafka e Dostoevskij, sapeva sempre in qualche modo come rendersi  “elegante” e distaccato da quel mondo fatto di violenza e prevaricazione, anche se era al capo della banda più pericolosa presente a Napoli, e nel Rione Sanità, durante gli anni Novanta.

Nel 2007, poi, la svolta. Contatta il procuratore aggiunto Paolo Mancuso, già coordinatore della Dda di Napoli, annunciando di voler collaborare. Le trattative durano qualche settimana, il boss viene trasferito da Spoleto a Rebibbia, per poi prendere definitivamente forma solo qualche mese dopo. Questa “chiarificazione”  gli varrà il riconoscimento della circostanza attenuante prevista dalla legislazione antimafia; così nell’ultima sentenza definitiva per omicidio, Misso è stato condannato a 20 anni di reclusione che al momento sta continuando a scontare.

Ma il boss Misso è anche uno scrittore: ha pubblicato nel 1999 “I ragazzi del rione“, una  raccolta di poesie e prosa, e un’ autobiografia romanzata nel 2003 “I leoni di marmo”.

K. S.

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