Una narrazione sbagliata, a tratti tossica, vuole che il lavoro in Italia venga vissuto come sacrificio, abnegazione e, perché no, umiliazione. Sempre la stessa narrazione vuole che queste tre aspetti fungano da base per intravedere la luce in fondo al tunnel: una volta superata la tempesta, dicono, una volta temprati a dovere, aggiungono, tutto sarà più semplice e la carriera che meriti e gli sforzi fatti saranno ripagati.
Ora, a meno che non si viva all’interno di un romanzo di Dickens o delle sorelle Bronte, viene un po’ difficile applicare nel 2022 un concetto di metà Ottocento. E non solo perché questo concezione del lavoro resta intrinsecamente errata, ma anche perché l’Università, la scuola, e anche la stessa famiglia, non prepara adeguatamente i giovani alle sfide che dovranno affrontare volenti o nolenti. Più che scatola chiusa, affacciarsi nel mondo del lavoro significa scoperchiare un vaso di Pandora e non tutti sono pronti o più semplicemente sono disposti a vivere la propria professione in maniera così totalizzante. Proprio come è accaduto a Sara Pedri, la giovane ginecologa originaria di Forlì.
Sono stati tanti in questi mesi i tentativi, anche tramite “Chi l’ha visto?“, di ritrovare Sara, la ragazza dai capelli rossi con un sogno nel cassetto: diventare medico. Aveva raggiunto il suo obiettivo lavorando a Trento presso l’ospedale Santa Chiara, eppure qualcosa non è andato come sperato dalla 31enne, scomparsa ormai da quasi un anno.
Non sappiamo cosa abbia spinto Sara Pedri a far perdere dal 4 marzo 2021 le sue tracce, abbandonando la sua auto vicino al ponte di Mostizzolo in val di Sole, eppure il suo gesto ha avuto un inaspettato riverbero: l’ex primario di ginecologia al Santa Chiara di Trento, Saverio Tateo, è stato, infatti, accusato dalla Procura di Trento di maltrattamenti e abuso di mezzi di correzione nell’ambito dell’inchiesta per la scomparsa della giovane ginecologa di Forlì, già quattro anni prima che Sara mettesse piede in quell’ospedale, grazie al racconto di altre colleghe. Il malessere di Sara non era un caso isolato, ma solo la sua scomparsa ha portato alla luce una situazione corrotta e logora.
I fatti risalgono al 2018. Un’altra ginecologa ha vissuto lo stesso inferno della Pedri – che aveva lavorato per soli tre mesi al Santa Chiara prima di dimettersi – e forse grazie a lei ha avuto il coraggio di denunciare cosa accadeva tra i reparti di ginecologia, raccontando quale clima asfissiante assorbisse lei e tutti gli altri operatori in servizio sotto la direzione di Tateo. Come riportato dal ‘Corriere della Sera’, la denuncia della dottoressa si è incentrata più sull’ambiente difficile e sulla sua sofferenza vissuta, tanto da richiedere il trasferimento presso un’altra struttura, che non sulla scomparsa di Sara, sulla quale ha però confermato un cambiamento a causa del lavoro.
Un cambiamento, insomma, che non è passato di certo inosservato, malgrado l’ex primario sostenga il contrario, rigettando tutte le accuse mosse a suo carico. Intervistato da ‘La Stampa’, Tateo ha spiegato come: “La dottoressa Pedri ha ricevuto da me tutti i riguardi che sono dovuti a una giovane professionista. Sono stato dipinto come un orco ma sono solo severo perché il rigore in ospedale è fondamentale”. Ma non solo.
“Era una specialista da poco tempo, la sapevo sola in Trentino e per di più durante la seconda ondata di Covid ” – ha replicato il medico – “Per questo le avevo dato dei turni che la lasciavano libera i fine settimana e i festivi”. In questo modo Tateo non solo afferma di non essersi mai accorto di quel clima pesante denunciato da molte colleghe, ma soprattutto si discolpa da ogni possibile coinvolgimento nella scomparsa da quasi un anno della Pedri; l’ex primario sostiene di non averla mai maltrattata né messo in atto nei suoi confronti azioni di mobbing. Ma la verità dove sta?
Il giorno prima di scomparire, Sara si era dimessa dall’azienda sanitaria e i genitori e la sorella, ormai, temono che si sia tolta la vita: “Viene istintivo chiedersi perché, in tre mesi di lavoro nel suo reparto, mia sorella abbia cominciato a sentirsi incapace e sia diventata tutt’altra persona da quella che conoscevamo”, ha spiegato Emanuela, sorella di Sara, al ‘Corriere della Sera’.
Emanuela non crede alla versione di Tateo, ha visto Sara stare troppo male, in un ambiente malato e algido che non lasciava spazio ad altro se non al lavoro massacrante: “Era sconsigliato parlare dei problemi, aleggiava la minaccia di licenziamento. Il personale era così abituato a vivere in un clima tossico, operato dai vertici, che era diventato la normalità” – ha raccontato ancora la sorella – ” Quando Sara si è resa conto di non riuscire a reggerlo si è convinta di essere lei il problema. Tateo dice di non aver colto il clima pesante, visto che gli venivano riconosciuti risultati d’eccellenza dai pazienti. Ma il punto sono i lavoratori: molti sono stati male nel suo reparto. Ci sono 110 testimonianze e 21 persone offese che raccontano disagi inascoltati e fatti oggettivi che hanno portato al licenziamento di un professionista”.
Ma per lei ed i suoi genitori Sara, radicalmente trasformata in soli tre mesi, sarebbe arrivata addirittura a compiere un gesto estremo, consapevole, forse, di poter trovare pace solo in questo modo: “Siamo convinti che Sara abbia compiuto un gesto estremo perché abbiamo visto come si era ridotta. Mia sorella era vittima di mobbing e si era ammalata. Parlava con un filo di voce, non dormiva, non mangiava. Voleva liberarsi da un malessere”.
Così, una volta abbandonata la macchina, la 31enne avrebbe deciso di porre fine alla sua vita, gettandosi nel lago. Un gesto forte, che se confermato, non potrebbe passare di certo inosservato: “E poi Carabinieri e Procura, impegnati nelle ricerche, non ci hanno mai fatto sperare che Sara si trovasse da un’altra parte. È nel lago di Santa Giustina, vicino a dove è stata ritrovata la macchina” – dice risolutamente Emanuele – “A marzo, quando le acque si saranno abbassate, riprenderanno le ricerche. Confidiamo nell’utilizzo dei cani molecolari. È tempo di risposte”.
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