L’Italia, così come tutti i paesi nel mondo, ha una propria “ricchezza”, nel vero senso della parola. Stiamo parlando delle riserve auree, ovvero di quelle risorse monetarie che costituiscono un bene di valore pari alla moneta che viene stampata all’interno di una determinata nazione; insomma, si tratta di una sorta di garanzia volta a preservare le banconote stampate o più in generale del circolante presente all’interno del sistema economico.
Con 8.133 tonnellate d’oro gli Stati Uniti d’America detengono la maggiore riserva aurea al mondo, mantenendo così il loro primato di potenza economica; la Germania si piazza al secondo posto, avendo nei suoi forzieri 3.359 tonnellate d’oro, quasi la metà rispetto alla prima in classifica. Eppure, la correlazione tra Pil e riserve auree mostra come le nuove potenze economiche siano indietro anche rispetto all’Italia che con le sue 2.451 tonnellate d’oro, malgrado sia ottava in termini di prodotto interno lordo, segue il Fondo Monetario Internazionale al terzo posto, guadagnando la quarta posizione, prima di Francia, Russia e Cina. Parrebbe quindi che il nostro non sia poi un Paese così poco competitivo o sotto gli standard generali, anche perché l’esagerato debito pubblico italiano è compensato da un debito privato molto basso.
Dove si trova l’oro italiano?
Le riserve d’oro italiane hanno raggiunto quota 2.452 tonnellate, dopo il conferimento da parte della Bce di 141 tonnellate. Il tesoro italiano, così come da immaginario più classico, è costituito prevalentemente la lingotti, 95.493 per la precisione, e da monete.
Nell’aprile 2014 la Banca d’Italia ha rilasciato un documento ufficiale in cui si precisava il tonnellaggio e le sedi di stoccaggio delle riserve auree italiane, a seguito di alcune discussioni nate sull’auditing dell’oro italiano dopo il rimpatrio delle riserve tedesche avviato nel 2013. Come si legge, quindi, sul sito di Banca d’Italia: “La maggior parte dei lingotti è di tipo tradizionale a forma prismatica, ma diversi esemplari presentano la forma di parallelepipedo o mattone, di tipo americano, e di panetto di tipo inglese. Il peso dei singoli lingotti va da un minimo di 4,2 a un massimo di 19,7 kg, con un peso medio di poco superiore ai 12,5 kg. Il titolo medio dei lingotti, ossia la percentuale media di oro fino usata nella lega, è di 996,2 e in numerosi casi si ha un titolo di 999,99”. Per un totale di 90 miliardi di euro.
Ma non tutto il tesoro italiano è custodito all’interno dei confini nazionali. Se la maggior parte dei lingotti è ben sorvegliata nei caveaux della Banca d’Italia, nel palazzo Koch a Roma, ed in parte nelle sedi di altre banche centrali, circa 141 tonnellate sono a Londra, altre 145 tonnellate nella sede della banca centrale della Svizzera e ben 1061 tonnellate negli Stati Uniti.
Il 43%, quasi la metà, del nostro oro è in territorio statunitense: “La scelta di dislocare all’estero poco più della metà del metallo, presso diverse Banche Centrali, deriva, oltre che da ragioni storiche, legate ai luoghi in cui l’oro fu acquistato, anche da una strategia di diversificazione finalizzata alla minimizzazione dei rischi. Inoltre, la localizzazione prescelta dalla Banca riflette la primaria importanza di tali piazze finanziarie per il mercato internazionale dell’oro”, motiva così, sempre sul sito, la propria strategia Banca d’Italia.
Negli anni questi 90 miliardi di ricchezza hanno fatto gola a tutti ed in molti si sono chiesti se non fosse possibile usare parte di quei lingotti per risanare i conti dello Stato, ma la poca chiarezza attorno al legittimo proprietario del tesoro italiano hanno reso un tabù qualsiasi tipo di approccio al discorso. Solo nel 2019 Claudio Borghi, deputato della Lega, aveva firmato una proposta di legge relativa alla proprietà delle riserve auree sia dello Stato italiano, ma la risposta non è così immediata.
Nonostante Banca d’Italia sia, infatti, un istituto di diritto pubblico, gli azionisti sono le banche, soggetti privati che anche se non nominano de facto il governatore decidono comunque la governance dell’istituto. Non è quindi chiaro chi sia il vero proprietario, proprio perché non c’è scritto da nessuna parte che il tesoro italiano non sia di proprietà degli istituti bancari.