Si è spenta in una fredda notte invernale romana, lei che era nata il 14 agosto 1928, la grandiosa regista Lina Wertmuller. Aveva 93 anni e con i suoi occhiali bianchi aveva conquistato Hollywood per il suo piglio aristocratico e mediterraneo, per le sue battaglia socialiste e per le sue scelte rivoluzionarie, come far interpretare ad una giovane Rita Pavone il discolo Gianburrasca, rivendicando i diritti della donna nel mondo del cinema.
Il suo nome è legato a doppio filo al capolavoro per eccellenza del cinema italiano degli anni Settanta “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto”, una commedia ironica e tagliente che fa anche di un insulto, la famosa “buttana industriale” amata da Giancarlo Giannini, segno di un’epoca tesa, figlia di un Sessantotto che aveva in parte fallito la lotta di classe promossa e promessa.
Lina Wertmuller, carriera e vita privata
“Ho sempre avuto un carattere forte fin da piccola. Sono stata addirittura cacciata da undici scuole e sul set ho sempre comandato io”, così si descriveva Lina parlando di sé, raccogliendo un sacco di primati.
E’ stata, infatti, la prima donna ad essere candidata agli Oscar (ricevuto poi onorariamnete nel 2020 per la sua straordinaria carriera) come migliore regista per “Pasqualino settebellezze” (1976) che totalizzò ben quattro nomination ed è stata anche la prima donna ad avere successo in tv ai tempi degli “sceneggiati” con la trionfale accoglienza del “Giornalino di Giamburrasca” (1964-65).
A 17 anni si iscrive all’accademia teatrale di Pietro Sharoff, debutta come regista di burattini con la guida di Maria Signorelli, scrive per la radio e la televisione mettendo in mostra sin da subito la sua vena comica, sui generis ed imprevedibile, ma attenta sempre alle questioni sociali. I film di Lina, infatti, sono un racconto lontano che parla di un presente attuale; di un proletario che viene rinchiuso in un manicomio criminale o di una ricca signora, inadatta alla vita, che si scopre innamorata di un semplice marinaio.
Va a scuola di cinema da Fellini, da lei definita la sua grande fortuna, sui set di “La dolce vita” e “8 ½”, collabora alla prima Canzonissima della Rai e quando debutta nel lungometraggio con “I basilischi” nel 1963 già vince la Vela d’oro del Festival di Locarno.
Nello stesso periodo incontra Enrico Job, apprezzato scenografo teatrale, con cui si sposerà, dividerà tutta la carriera artistica e adotterà la figlia Maria Zulima. Il suo primo, grande successo si ha però solo nel 1972 con “Mimi’ metallurgico ferito nell’onore”, in cui per la prima volta entra in scena il suo attore protagonista preferito, Giancarlo Giannini, formando un incredibile e fortunato sodalizio artistico. Il film riscuote un gran successo in sala e si guadagna l’invito al festival di Cannes.
Ma la Wertmuller è famosa anche per un suo “piccolo” vezzo d’autore: adora dare alle sue pellicole titoli dalla lunghezza esagerata, che delle volte non si finisce nemmeno di pronunciare: “Film d’amore e d’anarchia“, “Tutto a posto e niente in ordine“, “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”, “Pasqualino settebellezze” plasmano il cinema italiano degli anni di piombo, restituendo leggerezza, ma con serietà, ad un’epoca segnata da importantissimi fatti di sangue e stragi, mettendo d’accordo ogni volta critica e pubblico.
Dall’inizio degli anni ’90 conosce un nuovo successo scommettendo su attori che plasma e trasforma secondo il suo gusto personale. Ecco allora il sodalizio con Sophia Loren per portare in tv un riuscito adattamento di “Sabato, domenica e lunedì’ da Eduardo e quello con Paolo Villaggio per “Io speriamo che me la cavo” dal romanzo-verita’ di Marcello D’Orta. Ritorna due volte a fare coppia fissa con la Loren, tenta l’affresco storico con “Ferdinando e Carolina”, rivisita i suoi personaggi tipici aggiornandoli con volti nuovi come Veronica Pivetti o Claudia Gerini.
Ma non manca anche il doppiaggio nella sua lunga carriera: si diverte anche in veste di doppiatrice per “Mulan” o come esponente dei “poteri forti” in “Benvenuto Presidente” di Riccardo Milani. Insomma, Lina ha saputo gridare al mondo che il cinema è donna.