Si è spento improvvisamente, a 85 anni, Toni Santagata, cantante, cantautore, compositore, conduttore in radio e tv, popolarissimo negli anni ‘70 e ‘80, cabarettista famoso a Roma, protagonista di tante trasmissioni dell’epoca da A come agricoltura a Canzonissima; famoso anche all’estero con numerosissime tournee’.
All’anagrafe, però, si chiamava Antonio Morese ed era nato a Sant’Agata di Puglia il 9 dicembre 1935. La triste notizia è stata data dalla moglie Giovanna, con la quale aveva festeggiato da poco 50 anni di matrimonio. Toni Santagata è stato amato dal pubblico per aver portato il folclore pugliese ai livelli di hit, con canzoni come Quant’è bello lu primm’ammore, o Lu maritiello; andando anche oltre la morale retrograda e bigotta dell’epoca, diventando un rivoluzionario nel suo genere.
Nel corso della sua carriera ha scritto sei opere musicali moderne. La più nota di tutte è Padre Pio Santo della speranza, eseguita in Vaticano presso l’Aula Paolo VI proprio la sera della canonizzazione del Santo. La canzone finale, Padre Pio ho bisogno di te, è diventata la preghiera ufficiale dei fedeli del santo. I suoi numeri sono stati quelli di una vera e propria star: 22 milioni di dischi venduti e 6.700 spettacoli. Ma non si è fermato solo alle canzoni. Ha anche fondato la Nazionale Attori, della quale è stato a lungo capocannoniere.
Tra i tanti messaggi di cordoglio che si accavallano in queste ore, spicca quello del presidente della Provincia di Foggia, Nicola Gatta: “Ci ha lasciato Tony Santagata, grande artista che, con i suoi successi, ha fatto la storia della musica italiana portando il nome della sua terra natia in tutto il mondo. Buon viaggio Tony”.
Toni Santagata e quella volta che fece arrabbiare Mamma Rai
In un’intervista per il Giornale, Toni Santagata parlò della lunga censura da parte della Rai della sua canzone di punta Quant’è bell’ lu primm’amore, troppo avanti per quegli anni.
Solo dopo decenni di timori bacchettoni, la Televisione di Stato riabilitò il brano, pregando Santagata di presentarsi a Canzonissima, anche se intervenendo comunque sul testo originale. Il pubblico non era ancora pronto, infatti, per un numero di “corna” esagerate. Insomma, le corna andavano bene sì, ma non in prima serata, nella tv generalista per eccellenza, quando le famiglie si riunivano attorno al tubo catodico per cenare, dopo aver messo i figli a dormire.
Tutto cambia nel 1974, dieni anni dopo la composizione del pezzo da parte di Santagata: “Un pezzo da novanta della Rai mi spiegò che in quella edizione di Canzonissima, presentata da Raffaella Carrà, avrebbero voluto puntare sulla valorizzazione della musica regionale“, spiega il cantautore che non accettò nemmeno subito di esibirsi, anche se per volere della Regina della musica, come è stata la Carrà.
“Non sono mai stato un cantautore regionale” – ha specificato Toni Santagata – ” ma un interprete che ha usato il dialetto unicamente per valorizzarlo in una chiave nazionale e internazionale. Secondo perché all’epoca ero già famoso e pieno di impegni”, ma alla fine accettò decidendo di consumare la sua piccola vendetta. “Dissi: Parteciperò solo a una condizione: cantare la canzone che mi avete sempre censurato”, ovvero Quant’è bell’ lu primm’amore.
Il panico negli occhi del pezzo grosso: “Ma tu vuoi farmi licenziare? Quello è un testo scandaloso. Replicai: Allora non se ne fa niente. Lo salutai e uscii dalla stanza. Ma mentre stavo per entrare nell’ascensore, sentii una mano sulla spalla. Era il super direttore. Che si arrendeva. Mi disse: Ok, hai vinto tu. Ma devi farmi un piacere.” – racconta ancora – “Nella canzone c’era quattro volte la parola corna. Lui mi chiese di ridurle a due per non urtare troppo la serenità familiare dei telespettatori.”
Insomma un compromesso sulle corna che nemmeno venne notato dalle famiglie, intente com’erano ad amare Toni e la sua canzone: “Vinsi Canzonissima con 1.400.000 cartoline di preferenza spedite da casa. Un trionfo.”
“Per la prima volta, in un’Italia profondamente cattolica e tradizionalista, una canzone rompeva il tabù di ruoli sociali cristallizzati da generazioni. Si adombrava un adulterio, si descriveva la figura grottesca di un marito (di nome Bracalone) succube della moglie e privato dell’autorità del pater familias. Insomma, con largo anticipo sui tempi moderni, mettevo in discussione dogmi secolari”, e questo la Rai non poteva di certo accettarlo a cuor leggero. A prescindere dalle corna.