Non c’è pace neanche a Natale o, per meglio dire, nel periodo delle vacanze. La commissione europea, infatti, a fine ottobre ha lanciato e promosso un documento incentrato su un linguaggio più inclusivo e meno offensivo. Iniziativa nobile se non fosse per il fatto che l’inclusività, fatta per accogliere, ha lasciato spazio per alcuni ad un’eliminazione di alcune pratiche linguistiche e non solo.
Diciamoci la verità, parlare non è semplice e non lo è perché la mancanza di un pensiero critico si fa, via via, sempre più difficile e sfilacciata; ma non si sta parlando, in questo caso, di una frase fatta, come la famosa “non ci sono più le mezze stagioni”, ma di una cronica incapacità di comunicazione. Minare, infatti, le categorie di pensiero, alla base di una necessaria semplificazione della realtà che ci circonda, non è semplice e potrebbe rivelarsi più controproducente di quanto si immaginasse. Ma andiamo con ordine. Cosa dicono le linee guida? Vediamole nel dettaglio!
Le linee guida della Commissione Europea avevano come obiettivo non urtare la sensibilità di alcuno, anche durante le festività natalizie. Fare, infatti, un riferimento religioso ben preciso, come è il Natale, in un messaggio o nelle mail che ci si scambia con i colleghi prima delle ferie, potrebbe creare non pochi problemi se chi li riceve non è cristiano o addirittura non è appartenente ad alcun credo religioso: “Ogni persona in Ue ha il diritto di essere trattato in maniera eguale senza riferimenti di genere, etnia, razza, religione, disabilità e orientamento sessuale”, sottolinea Bruxelles nelle sue nuove linee guida per una corretta comunicazione.
Insomma, sarebbe più opportuno evitare qualsiasi riferimento al Natale, prediligendo piuttosto una formula più generica come “le festività sono stressanti” oppure “Buone Feste”, glissando su qualsiasi aspetto religioso, soprattutto se negativo: “Metti in chiaro se stai parlando di una religione, un’etnia o una nazionalità ed evita i cliché. Gli arabi sono un gruppo etnico, non una religione. Lo stesso vale per israeliani (nazionalità) ed ebrei (religione)”, recita il documento. Ma non è solo il periodo natalizio ad essere oggetto di discussione della Commissione.
Il trattamento egualitario del prossimo, passa anche attraverso le parole che si scelgono di usare, perché da quelle deriva il nostro modo di pensare e vedere la società. Proprio per questo, un capitolo delle linee guida è dedicato anche ad una più intima ed attenta connotazione delle persone e dei loro ruoli.
Scrive la Commissione “Non usare nomi o pronomi che siano legati al genere del soggetto; mantenere un equilibrio tra generi nell’organizzazione di ogni panel; se si utilizza un contenuto audiovisivo o testimonianze, assicurarsi la diversità sia rappresentata in ogni suo aspetto; non rivolgersi alla platea con le parole “signore” o “signori” ma utilizzare un generico “cari colleghi”; quando si parla di transessuali identificarli secondo la loro indicazione; non usare la parola “gli anziani”, ma “la popolazione più adulta”; parlare di persone con disabilità con riferimento prioritario alla persona.”
E non si tratta qui di politicamente corretto, ma di piccoli accorgimenti volti a valorizzare le peculiarità di ognuno, senza ferirlo. In virtù di questo, è bene sostituire “Miss” o “Mrs” (signorine e signore), con un più generico “Ms”, proprio per non descrivere le persone come sposate o single. Sempre nel documento si legge, infatti: ” Meglio ritrarre una varietà di strutture familiari tra cui giovani in una casa famiglia, famiglie con figli, coppie senza figli, genitori single, famiglie miste, famiglie allargate, famiglie adottive. Evitate di legare il concetto di famiglia ad uno status giuridico.”
Ma non finisce qua. Per una maggiore inclusione, Bruxelles consiglia di non usare nomi propri tipici di una specifica religione, come Maria e Giovanni, nomi tipicamente cristiani; piuttosto nomi stranieri dal più ampio respiro come Malika o Julio.
Era inevitabile che un testo del genere, facesse fiorire le peggio reazioni e costernazioni da parte della desta nostrana, come il testo vietasse o, ancora, imponesse di cancellare con un colpo di spugna tutte le tradizioni di stampo eurocentrico. Giorgia Meloni e Matteo Salvini, infatti, non hanno perso tempo e sui social hanno esternato tutta la loro indignazione sul linguaggio inclusivo.
“Maria, Giuseppe. Viva il Natale. Sperando che in Europa nessuno si offenda” ha twittato il leader della Lega. “La Commissione Europea, tramite un documento interno, considera il Natale festività poco “inclusiva”. Nel bersaglio anche i nomi Maria e Giovanni. Il motivo? Potrebbero risultare “offensivi” per i non cristiani. Ora basta: la nostra storia e la nostra identità non si cancellano.”, ha aggiunto su Twitter la Meloni; polarizzando ed appiattendo entrambi delle linee guida che avrebbero avuto bisogno di una maggiore comprensione ed interpretazione da parte tutti, senza tutta questa vena caricaturale.
E’ infatti di qualche ora fa la notizia del ritiro del documento sul linguaggio inclusivo da parte della Commissione Europea. La commissaria all’Uguaglianza, Helena Dalli, ha fatto sapere che il documento “non è maturo e non raggiunge gli standard qualitativi della Commissione europea”, e perciò ha bisogno di “maggiore lavoro” che nasceva comunque come guida ad uso interno.
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