La Suprema Corte della giornata di oggi dovrà esprimersi sulla sentenza d’appello bis con la quale, dopo molti retro front, si procederebbe alla condanna per tentata violenza sessuale per Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni
Dovrebbe essere oggi l’ultimo capitolo di una terribile vicenda giudiziaria, quella di Martina Rossi, la studentessa 20enne deceduta dopo essere precipitata il 3 agosto del 2011 dal sesto piano di un albergo a Palma di Maiorca.
Una vicenda non solo tormentata, ma anche fortemente mediatica date le iniziali ricostruzioni finalizzate, il più delle volte, a screditare la vittima. Nel 2011 la magistratura spagnola archiviò il caso di Rossi come suicidio ma, grazie alla battaglia intrapresa dai genitori, Franca e Bruno Rossi, che l’inchiesta venne riaperta in Italia.
Oggi è un giorno decisivo, il giorno in cui si potrebbe scrivere definitivamente la parola fine a un caso in cui i ribaltoni giudiziari sono stati moltissimi.
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Il caso di Martina Rossi: quel tragico volo
Questa vicenda ha inizio nei primi giorni di agosto del 2011, quando Martina decide di partire per una vacanza alle Baleari. E’ il primo viaggio da sola, il primo aereo preso senza i genitori. Arrivata nel luogo della vacanza incontrerà le amiche con cui avrebbe dovuto trascorrere un bellissimo giorno.
Ma da lì l’incubo. Le ragazze fanno amicizia all’hotel Sant’Ana con un gruppo di ragazzi toscani, fra i quali Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi. Durante la nottata le amiche decidono di recarsi in camera con alcuni di loro, mentre Martina, per non restare sola, sale nella camera con i due ragazzi.
Stando a quello che è stato ricostruito dall’accusa, i due tentarono di abusare sessualmente di Martina che, terrorizzata, vola dal balcone posto al sesto piano nel tentativo di fuga. Al momento del ritrovo del corpo la vittima non indossava i pantaloncini.
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Il lungo iter giudiziario nel caso di Martina Rossi
Inizialmente la magistratura spagnola archiviò il caso come suicidio ma, grazia alla tenacia dei due genitori, il caso venne riaperto in Italia.
Fu la procura di Genova ad avviare le indagini, trasferite successivamente alla competenza di Arezzo.
In primo grado il tribunale di Arezzo condannò i due ragazzi a 6 anni di reclusione in quanto, secondo le ricostruzioni, Martina precipitò dalla camera per sfuggire a un tentato stupro.
La decisione viene ribaltata a giugno del 2020 quando la Corte di Appello di Firenze assolve Albertoni e Vanneschi: il fatto non sussiste.
La Corte di Cassazione accoglie poi il ricorso, a gennaio, della pg fiorentina Luciana Singlitico e, annullando la sentenza, ordina un nuovo processo di appello. La Corte, si legge, non avrebbe valutato “i singoli indizi, in sé e in maniera unitaria”.
Fra questi il video delle registrazioni ambientali ripreso dalla questura genovese nel quale Albertoni e Vanneschi “festeggiano” il fatto che l’autopsia sul corpo della vittima non abbia fatto emergere segni di violenza.
“Non è stato inteso il senso dell’intercettazione, gli imputati con quelle frasi hanno inconsapevolmente ma assai efficacemente fornito la chiave di lettura degli accadimenti, fino a quel momento nascosta“, scrive il magistrato.
Parole su cui la Suprema Corte si troverà d’accordo.
Oggi dovrà essere appurata la condanna a tre anni per i due presunti aggressori per aver tentato di abusare di Martina.
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Il caso di Martina Rossi a Storie Italiane: “Parole vergognose”
Il caso è stato trattato in mattinata dal programma in onda su Rai 1 ‘Storie Italiane’. In studio gli opinionisti hanno espresso il loro disprezzo per le registrazioni ambientali effettuate nella procura genovese nella quale i due accusati parlano, in modo spregiudicato, del fatto che sul corpo non ci siano segni di violenza.
Qualora fosse stato confermato questo aspetto, i due l’avrebbero fatta franca. E hanno iniziato ad esprimere gioia in vista di questo.
Parole forti, che fanno rabbrividire: “E’ un orrore sentire queste parole da due giovani”, ha sentenziato un sacerdote presente in studio.
Spetterà ora alla Corte dare giustizia alla morte di Martina e permettere ai genitori di ottenere la verità.
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