Che l’Europa possa raggiungere di comune accordo una proposta valida per la creazione di un esercito europeo che soddisfi tutti e ventisette i paesi membri è più un tema da proporre durante interviste e conferenze, quando non si ha più nulla da dire, che non una realtà. L’Europa, per storia e tradizione dei paesi che la compongono, non potrebbe essere più diversa di quanto sia oggi, e questo non è per forza un male. È un dato di fatto che si sono accomunati Stati centenari e potenti, come la Francia e l’Olanda, a nazioni “rinate” solo qualche decennio fa, dopo la dissoluzione del blocco sovietico, con un gap economico ed amministrativo da colmare nei confronti dei primi, e dell’Europa stessa, non indifferente.
È proprio per questo che pensare ad una difesa sovranazionale ci pone di fronte ad una serie di interrogativi: Quanta autonomia ci sarebbe rispetto alla Nato? I finanziamenti, così come il numero di soldati di ogni paese, quale criterio seguirebbe, rappresentativo o demografico? Chi sarebbe davvero a capo dell’esercito europeo? Gli interessi degli Stati membri sarebbe poi comuni e condivisi da tutti?
Torna il pericolo dei talebani
Malgrado la minaccia talebana in Afghanistan abbia riacceso vecchie paure mai del tutto abbandonate, lo stesso Franco Gabrielli, ex direttore della Protezione civile, ex capo della polizia, oggi sottosegretario alla Presidenza con delega ai servizi segreti, in un’intervista rilasciata a “La Stampa” qualche giorno fa, invita ad una riflessione più cauta: “Ipotizzare un’intelligence europea, significa che non si è capito che cosa è l’intelligence. – premette – “L’intelligence è presidio della sovranità nazionale. Faccio un esempio: è normale attività che l’intelligence nella ricerca informativa svolga attività non convenzionali, anche commettendo reati, che vengono rigorosamente autorizzati e circoscritti dall’autorità politica. Questo prescrive la legge in Italia, come dappertutto. Ora, mi domando, questa futura intelligence comune a quale soggetto politico dovrebbe fare riferimento? Si dice di una regia europea. E chi dovrebbe fissare le priorità, se poi non c’è un singolo argomento su cui i ventisette governi siano d’accordo?”.
Insomma, per Gabrielli non sembra essere un obiettivo raggiungibile, così come per Dario Fabbri, giornalista e consigliere scientifico di Limes, rivista italiana di geopolitica, non è addirittura realizzabile: “È un’idea che torna ciclicamente e la si presenta come se il concetto di guerra fosse estraneo alla morte. Ma poiché non è così, e proprio perché in guerra si muore, chi sceglie di correre questo rischio lo fa solo per sentimento. Ecco, io non ho mai conosciuto un finlandese disposto a morire per uno spagnolo, o viceversa. Non riesco, peraltro, ad immaginare come l’opinione pubblica potrebbe mai essere favorevole a un progetto del genere.”
A differenza degli Stati Uniti, infatti, è molto radicato in Europa un sentimento di patriottismo e nazionalismo delle volte esasperato per ogni singolo Stato; prima di una difesa, quindi, sarebbe più opportuno realizzare una coscienza europea.
Le impressioni dei paesi membri sull’esercito europeo
Proprio ai cittadini è stato chiesto se fossero favorevoli o meno alla creazione di una difesa sovranazionale. Il grafico, pubblicato sul forum Reddit, mostra il consenso o meno delle nazioni. La maggior parte degli Stati, otto su ventisette, si tingono di blu, palesando il loro sostegno. Portogallo, Spagna, Francia, Germania, Grecia, Svezia, Polonia ed Ungheria si tingono di blu sarebbero infatti estremamente a favore di un esercito europeo. Anche l’Italia e i Paesi Bassi appoggiano la proposta, ma con meno enfasi e più remore.
Un caso particolare è costituito dall’Irlanda, dal Belgio e da Cipro, tutte e tre sarebbero favorevoli perché entrerebbe in azione una forza europea di pronto intervento. Come dichiarato da Josep Borrell, alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al Corriere della Sera: “Gli americani non combatteranno più le guerre degli altri, come europei, dobbiamo usare questa crisi – la resa di Kabul – per imparare a lavorare di più insieme. E per rafforzare l’idea dell’autonomia strategica. Dovremmo essere in grado di muoverci anche da soli. Rafforzando le nostre capacità, rafforziamo la Nato”. La ‘Initial Entry Force’ europea, insomma, dovrebbe agire rapidamente nelle emergenze.
Cinque paesi, invece, non rilasciano dichiarazioni oppure sono indifferenti al tema. Croazia, Bulgaria, Romania e Slovacchia non esprimono una preferenza, mentre la Finlandia sostiene una posizione neutrale. Sono tutti paesi provenienti dal regime comunista, più propensi alla salvaguardia di un’identità nazionale, che non ad una europea.
Più sorprese tra i paesi contrari
Restano leggermente sfavorevoli nazioni come Lettonia, Estonia e Lituania, anche questi paesi dell’ex blocco sovietico, mentre si oppongono con più forza, oltre alla Repubblica Ceca, Austria e Danimarca, potenze importanti nello scacchiere europeo, la cui scelta lascia non poco sorpresi, anche se effettivamente entrambi i paesi hanno una prosperità e stabilità interna così importanti, da non volere ingerenze esterne di alcun tipo. Resta poi, solitaria, Malta che si scaglia fortemente contro la creazione di un esercito europeo. Ma la questione è ancora aperta.