Spunta un altro responsabile della morte di Maddalena Urbani, la 21enne figlia di Carlo Urbani, il primo medico che, identificando la Sars, scongiurò la pandemia nel 2003. Si tratterebbe di un terzo spacciatore…
Si aggiunge un nuovo tassello nella vicenda della morte di Maddalena Urbani, la 21enne figlia del medico-eroe Carlo Urbani, deceduta lo scorso 27 marzo.
Si aggiunge, infatti, alla lista degli indagati un altro uomo, uno spacciatore che la ragazza avrebbe incontrato in zona San Giovanni, a Roma, prima di recarsi presso l’abitazione di Rajab Abdulaziz, il siriano 64enne finito ai domicilari per la morte della 21enne.
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La morte di Maddalena Urbani, deceduta dopo un cocktail letale di sostanze
Poco prima di morire Maddalena si era recata a Roma da Perugia per trascorrere qualche giorno nella capitale e per fare visita ad alcuni parenti.
Con lei l’amica Kaoula El Haouzi, con la quale è partita dal capoluogo della regione umbra.
La Urbani è deceduta verso le 13 di sabato 27 marzo per overdose, il giorno prima del diciottesimo anniversario della scomparsa del padre.
A uccidere la giovane, come confermato dall’autopsia, un cocktail letale di metadone, benzodiazepine e cocaina.
Il corpo venne trovato nella camera da letto dell’appartamento di Abdulaziz.
Sia il 64enne che l’amica vennero entrambi indagati per omissione di soccorso.
Se, infatti, l’ambulanza fosse stata chiamata prima, per Maddalena ci sarebbe stata la possibilità di sopravvivere all’overdose.
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E’ caccia al terzo uomo, lo spacciatore che diede le sostanze alla Urbani
Come riportato da Il Messaggero, dall’ordinanza del tribunale del Riesame che ha respinto la scarcerazione di Abdulaziz, arrestato proprio con l’accusa di omicidio volontario per l’omissione di soccorso, è venuto fuori un altro, importantissimo tassello.
Il giorno prima del decesso la Urbani aveva incontrato uno sconosciuto, incontro dal quale sarebbe ritornata con una busta di pane che, stando alle dichiarazioni dell’amica, Kaoula El Haouzi, conteneva “dell’altro”.
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Nel riesame si legge:
“Il racconto di Kaoula El Haouzi veniva confermato dalle chat che dimostravano che c’erano stati contatti tra l’Urbani ed il presunto zio, poi identificato in Rajab, e che quest’ ultimo aveva fornito indicazioni su come raggiungere San Giovanni per incontrare qualcuno, suggerendole di non far assistere l’amica”.
Dopo l’incontro con l’uomo, oggi ancora non identificato, si erano spostati in zona Cassia, dove Rajab detto “lo zio” abitava (in quel momento era agli arresti domiciliari).
Prima di salire nell’abitazione le amiche si erano fermate in un negozio di alimentari dove, dopo aver bevuto un bicchiere di vino, Maddalena era svenuta.
Le due, dopo il malore, hanno raggiunto casa del 64enne che ha tenuto per 15 ore in casa la giovane senza chiamare i soccorsi, nonostante le sue condizioni stessero peggiorando.
Aveva chiamato, al posto dell’ambulanza, due amici (fra cui un tossicodipendente pagato con una dose di eroina) che non aveva portato a termine gli studi di medicina.
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Chi era Carlo Urbani, il medico eroe che scoprì la Sars
Maddalena era nota per essere la figlia di Carlo Urbani, il medico eroe noto a tutti per aver scoperto per primo la Sars.
Attivo fin dalla sua gioventù in operazioni umanitarie, nel 1993 divenne consulente per l’OMS per il controllo e il monitoraggio di malattie parassitarie, e due anni dopo, nel ’99, diventa presidente di Msf Italia, presidenza durante la quale porta avanti battaglie per la diffusione di medicinali essenziali che possano salvare la vita.
Dopo tantissimi anni di impegno nel campo medico umanitario, con operazioni che vanno dalla Cambogia post khmer rossi all’Africa, Urbani riceverà assieme alla sua delegaizone di Msf il Nobel per la pace.
Nel 2003 l’ospedale francese di Hanoi contatta l’Organizzazione Mondiale della Sanità per segnalare la presenza di un paziente, tale mister Chen, che nessuno è in grado di curare.
Come se non bastasse, gran parte del personale medico era stato contagiato.
L’OMS deciderà di chiamare Urbani il quale, giunto sul posto, si rese conto della gravità della situazione.
Allora nessuno lo sapeva ma quello che avevano dinanzi era una nuova, tragica malattia:
la Sars.
La lungimiranza di Urbani lo portò a chiedere in modo fermo al governo di adottare le procedure di quarantena.
Proprio pochi giorni dopo, mentre Urbani era in viaggio, inizia ad avvertire i primi sintomi: tosse, febbre e debolezza.
Dopo l’atterraggio di emergenza e la richiesta di essere messo in quarantena, Carlo capì che non erano sintomi casuali, ma quelli della Sars.
Morirà due settimane dopo, il 29 marzo del 2003, richiedendo che un campione del suo tessuto polmonare venisse accuratamente analizzato.
Esattamente un mese dopo il Vietnam diede l’annuncio ufficiale: la Sars era stata sconfitta.
Se lì il bilancio fu di 63 contagi e 5 morti, in altri paesi fu nettamente più tragico.
Fu così che l’OMS si rese conto che, se non fosse stato per Carlo Urbani,
sarebbe stata una tragedia ben peggiore.
E non è un caso che il suo metodo di lotta alle pandemie sia rimasto, ancora oggi e a maggior ragione oggi, un modello adottato a livello internazionale.