La Sicilia è tra le prime regioni con il maggior numero di medici obiettori di coscienza. Il premio? Il rischio che molte donne ricorrano alla clandestinità pur di esercitare un diritto, che la stessa società civile mette in discussione. Ben 5 medici su 6 sono obiettori di coscienza.
In fatto di diritto all’aborto, la Sicilia è come la Polonia, come il Texas e gli stati più conservatori dell’America. Ma la cosa più grave è che la scelta dell’isola non è costretta da nessuna legislazione, semplicemente la percentuale dei medici obiettori è così alta che l’effettualità della 194 viene praticamente meno.
La Legge 194 garantisce il diritto all’interruzione spontanea di gravidanza, ma certi medici – troppi medici – no.
Se il primato in questa anacronistica classifica spetta al Molise (Michele Mariano è rimasto l’ultimo ginecologo non obiettore del Molise e trovare un sostituto dopo il pensionamento è un problema niente affatto marginale) la Sicilia sembra seguire questo trend poco virtuoso.
In Sicilia l’allarme obiettori è diventato un’urgenza. Dai dati, che purtroppo sono sempre tragiche testimonianze, emerge che il sistema in Sicilia è impallato da un’ipertrofia pretestuosa e ogni provincia presenta lo stesso scenario.
La situazione poi è stata resa ancora più esacerbata dalla pandemia, che ha ingigantito il problema delle mancanze di spazi e strutture dedicate. Infatti durante i lockdown era difficile anche trovare strutture sanitarie che praticassero ancora gli aborti, per via della riconversione di morti reparti, della limitazione del personale medico, e dell’assegnazione dei posti letto.
Se le condizioni materiali scoraggiano, i giudizi personali spesso impediscono l’aborto: tra suore che pregano e invocano Dio nella sala d’attesa, medici che si rifiutano di fare ecografia e prescrizioni di Ru486, le donne siciliane devono fare tanta strada, letteralmente e metaforicamente, per esercitare un diritto che gli è precluso.
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