Gianfranco Onorato un uomo che ha prima stupito per i suoi meriti sportivi, poi per i meriti umani e sociali a cui è arrivato dopo un incidente in moto a soli 23 anni che gli ha pregiudicato la carriera di sciatore nautico. A Dagospia, Jeff, come si fa chiamare, racconta la svolta che ha intrapreso la sua vita da quel fatidico giorno.
Onorato, un uomo onorevole
Incredibile intervista, perché incredibile storia, quella concessa a Dagospia da Gianfranco Onorato, pluricampione di sci nautico, che ha dovuto reinventarsi dopo l’incidente in moto che l’ha visto coinvolto a soli 23 anni e l’ha lasciato con un braccio paralizzato. Se pensa a quel giorno, però non ha rancore, anzi sente quasi gratitudine, “Considero l’uomo che mi ha investito il mio benefattore“.
Infatti ha trasformato l’incidente come opportunità di svolta e di restituire quello che si sentiva di aver ottenuto: “Se guardo indietro, non vorrei cambiare nulla. Il giorno dell’incidente lo considero il più fortunato della mia esistenza”.
A spingerlo un forte orgoglio personale, di chi deve farcela in ogni situazione: “Ho imparato in fretta ad adeguarmi ad ogni situazione. Ho perso mia madre quando avevo 6 anni, poi l’incidente. Attraverso quell’episodio sono diventato quello che sono” Una scuola che gli ha insegnato la tenacia e la motivazione come unica necessità: “Ho un ego insaziabile e sono tremendamente ambizioso. Volevo diventare un campione. Questa condizione ha spinto la mia mente a riconnettersi con il corpo per affrontare ogni tipo di prova, a prescindere dal resto”.
Da quel giorno è diventato istruttore e ‘il figlio del vento’ e ha insegnato ai suoi allievi non solo la vela, ma la confidenza in un fisico e una fisicità fuori dalla ‘norma’.
Tra le isole di Maddalena e Caprera, Jeff ha creato una scuola di sci nautico, che accoglie proprio tutti: “con o senza braccia, con o senza gambe, purché dotati di una, anche minima, voglia di vivere”.
L’uomo dei miracoli? No, l’uomo delle possibilità
Chiunque con Jeff riesce a sciare sull’acqua, pure una ballerina senza braccia, ragazzi non vedenti e bambini affetti da sindrome di down: “Una scuola unica al mondo in cui solo l’impossibile non riesce a trovare cittadinanza. I più importanti beneficiari di questa interazione con i ragazzi con handicap psicofisici sono i normodotati. Si rendono conto cosa vogliano dire inclusione, integrazione, rispetto”.
Il tutto interpretato in un’ottica provvidenziale, piena di gratitudine: “Sono convinto che Dio mi abbia affidato questa “mission” dandomi qualcosa di più grande di quello che mi ha tolto”.
Tanto grande la fortuna, che la cosa più bella non può che essere la condivisione: “Credo di rappresentare un esempio importante per i ragazzi. Potevo immaginare dopo un infortunio del genere di avere articoli e copertine, di tenere conferenze nelle aule universitarie e nelle carceri? Invece è tutto vero, racconto la gioia di essere diversamente abile. Questa fortuna non potevo tenerla per me”.
E in vista di Tokyo 2020, l’unico consiglio che dà agli atleti in gara è di accettare la propria fisicità e fare il massimo: “Piacersi per come si è…”, perché il trucco sta nella libertà di essere sé: “oggi che sono felicemente divorziato, felicemente separato e felicemente squattrinato mi guardo allo specchio e mi sento un figo, grazie alla mia nuova libertà“.