Idit Harel, suo malgrado, è diventata un simbolo di integrazione e convivenza pacifica: israeliana, 50 anni, orgogliosamente e convintamente di destra, la donna ha deciso di donare un rene a un bambino di Gaza in attesa di trapianto. Sebbene lei sostenga che “non è stato un gesto politico”, l’interpretazione degli altri propende per il senso opposto.
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C’è differenza tra ebraismo e sionismo? Sì e a dimostrarlo una sionista convinta, che ha però deciso di donare un rene a un bambino arabo, Bilal, perché “Sono stata ispirata dai racconti e dagli insegnamenti di mio nonno, sopravvissuto all’Olocausto. Mi raccomandava di seguire la tradizione ebraica: non esiste dovere più alto che quello di salvare una vita“.
Paradossale però come la vita che la donna abbia scelto di salvare sia una vita di un bambino che abita a Gaza, paradossale non solo per chiunque legga la notizia, ma anche per i parenti di Idit Harel, che hanno faticato ad accettare la sua decisione.
Così una donna, che è convinta che sarebbe stato meglio se “nel 1948 tutti gli arabi avessero lasciato il nostro Stato nascente”, si è ritrovata simbolo di una possibile convivenza, sebbene proprio a casa sua i rapporti siano tesi: mentre i tre figli l’hanno supportata, il padre e il marito non le parlano, dato che il primo ha perso i genitori in un attentato palestinese nel 1948.
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Infatti il suo organo è stato destinato a un bambino di Gaza, Balil, nato con un problema congenito e da tre anni in attesa di un donatore, dopo che il padre è risultato incompatibile.
Per lei la sua decisione non ha carattere politico, ma di carità religiosa. Il dono è stato accompagnato da un messaggio molto intimo, quanto dolce: “Non mi conosci, ma presto io e te saremo molto vicini perché un mio organo starà nel tuo corpo. Spero che questa operazione funzioni e tu possa avere una vita lunga e significativa“.
Nonostante la diversità di vedute le due famiglie hanno trascorso assieme qualche momento all’ospedale, e Idit ha potuto prendere Balil in braccio: paradossale, ma bellissimo.
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