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Operata in cucina e curata con tisane, donna muore di melanoma: arrestati i responsabili

Per la morte della Repetto sono stati arrestati per omicidio volontario Paolo Oneda, il chirurgo bresciano che la operò senza rispettare alcun protocollo, ora ai domiciliari, e il direttore del centro olistico Anidra, il “santone” Vincenzo Paolo Bendinelli

Una vicenda che ha dell’incredibile quella accaduta a Roberta Repetto, la 40enne insegnante di Yoga originaria del genovese, deceduta a causa di un melanoma degenerato e non curato consapevolmente dai medici. A distanza di mesi i responsabili della morte sono stati arrestati, ma le indagini attorno al centro olistico ‘Anidra’ sono ancora in corso per altri reati altrettanto gravi.

Quel neo rimosso sul tavolo da cucina

Per comprendere la gravità della vicenda bisogna tuttavia fare un passo indietro e comprendere come sia possibile che una donna così giovane sia stata circuita ed abbandonata ad una morte così dolorosa. 

Era il 2018 quando la Repetto, dipendente del centro olistico ‘Anidra’ sito a Borzonasca, iniziò a notare che sulla pelle le era comparso un neo verrucoso sanguinante. La donna, totalmente inglobata dalla filosofia del direttore del centro, il santone Vincenzo Paolo Bendinelli, decise di rivolgersi a lui e al chirurgo bresciano Paolo Oneda. I due avrebbero, in totale autonomia, deciso di operare la donna per rimuovere il neo, ma all’interno della struttura e non nell’ospedale, violando di conseguenza tutte le procedure previste dal protocollo sanitario ed effettuando le psuedo procedure chirurgiche su un tavolo da cucina, il tutto senza anestesia. 

Stando a quanto si apprende dai racconti dei familiari della vittima, le condizioni di salute della Repetto nel giro di pochissimo sarebbero drasticamente peggiorate. Come se non bastasse, la donna era in preda a forti dolori dopo l’operazione, giustificati come una conseguenza del processo di “purificazione spirituale”. 

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La morte di Roberta Repetto, curata con le tisane

Un anno e mezzo dopo l’operazione, dunque ad ottobre 2020, la Repetto è deceduta presso l’Ospedale San Martino di Genova, dove era stata ricoverata d’urgenza a causa di un raro melanoma fortemente aggressivo che era, oramai, in uno stato avanzato di metastasi.

Nonostante nel corso di questi anni la donna avesse iniziato a manifestare fortissimi dolori a causa della malattia, tanto Bendinelli quanto Oneda l’avevano oramai convinta a non rivolgersi in alcun modo né a medici né a specialisti sanitari di qualsiasi tipo. Fra l’altro, come si apprende dal Genova Today, il tessuto rimosso, ossia il neo, non era stato sottoposto all’esame istologico per analizzarne la natura e comprendere se potesse essere un melanoma, come di fatto poi è stato.

Inoltre, per placare i dolori che attanagliavano il corpo della Repetto, il santone e il medico le “prescrivevano” il consumo di tisane zuccherate e di meditazione, rassicurandola sul fatto che la comparsa dei linfonodi ingrossati facesse parte “del processo di guarigione”.

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Il centro Anidra al centro anche di una violenza sessuale

Il centro olistico nel quale si consumava, nel silenzio, la tragedia di Roberta, è attenzionato da un doppio filone d’indagine: da un lato quello della morte della donna, che si è concluso con l’arresto di Vincenzo Paolo Bendinelli, il fondatore del centro Anidra, e di Paolo Oneda, dirigente di chirurgia generale presso l’ospedale di Manervio, in provincia di Brescia. Gravissime le accuse a carico di entrambi: omicidio volontario con dolo eventuale.

Ma il santone ed il chirurgo non solo gli unici due componenti della struttura ad essere finiti sotto il mirino degli inquirenti e poi arrestati. Nel registro degli indagati rientra anche una psicologa di origini lombarde dipendente del centro olistico. 

Quest’ultima avrebbe ricoperto un ruolo di primo piano nel “reclutare” giovani donne in uno stato di particolare fragilità tanto emotiva quanto fisica, e, circuendole, le avrebbe convinte a lasciar perdere la “medicina tradizionale” per rivolgersi al loro centro. 

Il secondo filone di indagini, invece, si orienta su un’altra, gravissima accusa. I familiari di una giovane paziente del centro avrebbero sporto denuncia per violenza sessuale ai danni della donna e per circonvenzione di incapace. 

Le indagini su questa accusa sono ancora in corso:

“Le indagini hanno consentito di rilevare gravissimi indizi di colpevolezza a carico dei due arrestati”, hanno chiarito gli investigatori, che hanno aggiunto “che erano pienamente coscienti della superficialità con cui era stato effettuato il primo intervento e consapevoli del grave e progressivo aggravamento del quadro clinico della donna, che nei mesi successivi aveva subito le palesi e pesanti conseguenze della diffusione del tumore ma si era affidata totalmente alle indicazioni del medico e del ‘santone’, che l’avevano rassicurata in merito alla sua guarigione ed al ritorno allo stato di salute, anche grazie a non meglio precisate pratiche olistiche e di ‘protezione energetica’, senza svolgere alcuna iniziativa volta ad arrestare il diffondersi della patologia”.

Un mese fa, nel frattempo, ad Oneda, il medico bresciano, è stata accordata la misura di detenzione domiciliare. I giudici che hanno accolto la richiesta hanno tuttavia sottolineato come Oneda fosse “perfettamente a conoscenza delle possibili conseguenze derivanti da un nevo sanguinante, asportato in maniera irrituale. Infatti, Oneda, nonostante tale consapevolezza, dolosamente, ha effettuato l’intervento senza rispettare alcun tipo di protocollo sanitario” e che, in quanto medico, aveva l’obbligo deontologico di informare la donna di tutte le possibili conseguenze e complicazioni che potevano derivare sia dall’intervento svolto senza seguire il protocollo sanitario e sia da quelle derivanti dalla mancata terapia che avrebbe potuto, di fatto, far sì che Roberta fosse ancora viva. 

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Martina De Marco

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