“Sono ostaggio di un sistema senza regole. Vi prego, riportatemi a casa dalla mia famiglia”.
Sono parole di autentica disperazione quelle pronunciate da Marco Zennaro, imprenditore veneto di 46 anni arrestato in Sudan lo scorso 1 aprile.
Due giorni fa, l’amministratore unico della Zennaro Electric Constructions di Marghera, in provincia di Venezia, è stato trasferito in un’altra prigione. L’uomo, atteso in Italia da una moglie e da tre figli piccoli, ha fatto sapere ai familiari di trovarsi oggi in condizioni peggiori rispetto al periodo della sua detenzione.
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Rimasto otto ore nel palazzo della Corte in uno stanzino sottoterra al buio, Zennaro non è stato trasferito in albergo, come gli era stato comunicato, ma in un altro carcere. Un viaggio di un’ora e mezza “su una camionetta di latta” assieme ad altre 40 persone, con una temperatura “da forno”.
“Non so cosa mi aspetta. Nessuno sa nulla, non ho il telefono e nessuno parla inglese – spiega l’imprenditore veneto – Mi hanno fatto attraversare il settore degli omicidi, spacciatori e criminali: un inferno di 700-800 corpi ammassati uno sull’altro”.
Zennaro è poi finito nella sezione di reati penali con giustificazione finanziaria, dove ci sono circa 200 persone, come racconta lui stesso.
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L’attuale luogo di detenzione dell’imprenditore 46enne, pur con livelli igienico sanitari sempre sotto la media, parrebbe migliore rispetto al precedente (il commissariato di Khartoum, ndr), stando a quanto riferito dal fratello Alvise al quotidiano “La Stampa”. Ma la sua situazione “fisica e psicologica” resta “molto pesante”.
Zennaro si era recato in Sudan, dove la sua azienda è in affari da oltre 25 anni, per sistemare una questione riguardante dei trasformatori che non rispettavano gli standard. Da quel momento in poi è cominciato l’incubo. La Farnesina è al lavoro per cercare di riportarlo a casa, ma la situazione non sembra sbloccarsi.
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