La Corte d’assise di Taranto condanna Nichi Vendola a 3 anni e 6 mesi di reclusione per il reato di concussione e per le pressioni sull’ex direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, in relazione al caso dei livelli troppo alti di benzo(a)pirene nel 2010 nell’Ex Ilva.
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Secondo l’accusa, nel luglio 2010, l’ex politico avrebbe minacciato Assennato della non riconferma nel ruolo, all’epoca era presidente di Arpa Puglia, poiché egli aveva prodotto un’informativa, secondo la quale bisognava ridurre e rimodulare il ciclo produttivo della fabbrica.
Sia Vendola che Assennato però negano la tesi dell’accusa, che aveva chiesto 5 anni per l’ex governatore pugliese. La condanna, benché di durata inferiore, ha comunque indispettito, per usare un eufemismo, Nichi Vendola: “Mi ribello a una giustizia che calpesta la verità”.
Per lui la sentenza sarebbe una “una mostruosità giuridica avallata da una giuria popolare, quelli che dai Riva non hanno preso mai un soldo, che hanno scoperchiato la fabbrica, che hanno imposto leggi all’avanguardia contro i veleni industriali”.
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Nichi Vendola ha definito la conclusione del processo “l’ennesima prova di una giustizia profondamente malata“. Secondo la procura la notte del 6 luglio 2010, quando la dirigenza dell’Ilva ha avvisato il politico del pericolo dell’elevato livello di benzo(a)pirene, egli avrebbe confermato il suo aiuto nella vicenda: “il presidente non si è defilato” avrebbe detto, ma non avrebbe incluso nel meeting risolutivo del 15 luglio 2010, appunto, Assennato.
Un’occorrenza improbabile, come ha spiegato lo stesso Vendola nel 2019: “Giorgio Assennato mi avrebbe dato una sberla se lo avessi lasciato fuori alla porta. Non mi passava nemmeno per l’anticamera del cervello di non riconfermarlo alla guida di Arpa Puglia“.
Lo stesso ex responsabile di Arpa Puglia sottoscrive la versione del politico: “Ero rassegnato. Non per le inesistenti pressioni, ma perché vedevo fallire il mio programma, da medico di sanità pubblica, di risanamento della qualità dell’aria dei Tamburi”
Se Assennato concede una colpa a Vendola è quella di non aver ridotto la produzione nelle giornate di vento, come invece proposto dal dirigente.
Ora che 11 anni dopo quegli eventi, la giustizia si è espressa, Vendola urla all’ingiustizia della giustizia: “Hanno umiliato persone che hanno dedicato l’intera vita a battersi per la giustizia e la legalità. Hanno offerto a Taranto non dei colpevoli ma degli agnelli sacrificali: noi non fummo i complici dell’Ilva, fummo coloro che ruppero un lungo silenzio e una diffusa complicità con quella azienda”.
Per Nichi Vendola inizia adesso la battaglia, insieme, mai contro, ad Assennato: “ora non starò più zitto: questa condanna per me e per uno scienziato come Assennato è una vergogna. Io combatterò contro questa carneficina del diritto e della verità“.
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