International Council of Museums ha consacrato il 18 maggio di ogni anno alla Giornata Internazionale dei Musei. La ricorrenza è un’iniziativa che vuole palesare il ruolo cruciale, sia socialmente che culturalmente, dei musei. Un riflessione sull’importanza della conoscenza che però non è appannaggio di pochi, ma deve essere usufruibile anche dal pubblico.
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La pandemia ha costretto i musei a chiudere. È stata una crisi inaspettata e nuova e, per tale, le risposte devono essere inaspettate e nuove.
Il covid ci ha abituato a un nuovo modo di fruire, o non fruire, degli spazi pubblici e ha ridicolizzato il rapporto pubblico privato. Questa rivoluzione antropologica, sociale e digitale non può non aver colpito anche i luoghi d’arte.
Molti musei in tutta Italia hanno deciso di digitalizzare i propri contenuti: archivi, gallerie e collezioni sono state ripensate a partire dal web e per il web. Nonostante i mille contenuti culturali creati appositamente, nonostante le iniziative di diffusione social del patrimonio artistico, nonostante tutte le nuove potenzialità della tecnica, c’è da chiedersi se la vecchia presenza fisica è davvero obsoleta.
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Se la narrazione dell’arte e la cultura è destinata a cambiare e se sfruttare le nuove tecnologie comunicative è un bene, ciò non significa infatti che non ci sia più bisogno di recarsi fisicamente nei luoghi d’arte, per godere di un altro momento culturalmente elevante, quello dell’incontro con l’altro.
Sfruttare il web come canale comunicativo, ha permesso all’arte di diventare ‘democratica’, di non essere interesse di nicchia, ma bagaglio culturale per tutti. I Musei oggi hanno una potenzialità inespressa, perché sono molte le espressioni che consentono, se aprono a tutti.
L’arte che ha sfruttato i nuovi social è diventata interattiva e attiva e può ritagliarsi un ruolo eminente nell’educazione civica del fruitore di bellezza. Ripensato in maniera ‘democratica’, il museo non può non tornare ad essere pubblico.
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