Oggi più che mai i temi ambientalisti, legati a doppio filo con la problematica del cambiamento climatico, si manifestano come un’urgenza da affrontare e alla quale non si possono voltare le spalle. Oggi, 22 aprile, è la giornata della Terra, quest’anno dedicata non a caso al tema ‘Restore Our Earth’. Uno sguardo ai dati e allo stato in cui versano oggi i nostri ecosistemi
Per molti favolette per complottari e fricchettoni, per altri un’impellenza così tanto urgente da rischiare nel giro di pochissimo di diventare una catastrofe una volta giunti al punto di non ritorno. Stiamo parlando del cambiamento climatico, una tematica che, negli ultimi anni, è entrata de facto all’interno del dibattito internazionale politico, accademico ed economico.
E a ritenere che si sia ad un passo dal tracollo no, non sono complottari e fricchettoni, ma chi conosce, davvero, il mutamento ambientale irreversibile nel quale uno sviluppo societario massiccio e incontrollato ci ha portati. D’altronde, 7,9 miliardi di persone non possono che avere un impatto, considerando lo stile di vita che ciascuno di noi conduce, e questo moralismi a parte.
Ed è proprio per questo che, quest’anno, la giornata internazionale della Terra è dedicata al tema tanto complesso quanto delicato del ‘Restore Our Earth’.
(Grafico delle temperature anomali terresti derivanti dal riscaldamento globale)*:
*fonte: Flourish
Sono 193 i Paesi coinvolti in questa giornata di sensibilizzazione, durante la quale vengono organizzate in quasi tutto il mondo iniziative volte ad informare, educare e rendere reattivi i cittadini globali su una tematica che non ha confini e non lascia esente nessuno.
Artisti, personalità pubbliche, politici e attivisti saranno impegnati durante tutta questa settimana ecologica a sensibilizzare sulla tematica della sostenibilità ambientale e della salvaguardia del Pianeta, che inizia a manifestare eventi climatici mai visti, sintomo di uno sviluppo non più sostenibile.
La decisione di dedicare una giornata internazionale al nostro pianeta nacque all’incirca negli anni Settanta, precisamente nel 1962, dall’idea di Gaylord Nelson, allora senatore democratico del Wisconsin.
Il politico promulgò una serie di manifestazioni di proteste assieme ad una serie di incontri tematici per rendere coscienti i cittadini di quanto il tema dell’ambiente fosse un qualcosa di talmente urgente da dover entrare nelle agende dei governi. L’allora presidente degli States Robert Kennedy, in sostegno della causa, decise di attraversare ben 11 stati per prendere parte alle conferenze organizzate.
Fu però nel 1970 che si ufficializzò a tutti gli effetti la giornata, che venne coronata con una manifestazione organizzata a San Francisco alla quale presero parte diversi personaggi del mondo dello spettacolo.
Se già negli anni Settanta ci si rese conto di quanto la tematica ambientale dovesse entrare nelle agende politiche di tutto il mondo, oggi questo passo non è più procrastinabile. Negli scorsi giorni è stato pubblicato il rapporto dell’ ‘Organizzazione Meterologica Mondiale’, coordinata dagli Stati Uniti, nel quale vengono analizzati gli impatti ambientali che, nonostante il lockdown, non hanno subito alcuna battuta d’arresto, anzi. Sono letteralmente senza precedenti nella storia.
L’Italia è un esempio lampante di quanto sta accadendo. La Coldiretti ha riportato che nel 2021: “in Italia si è verificato a macchia di leopardo un evento estremo al giorno tra siccità, le cosiddette bombe d’acqua, violente grandinate e gelo in piena primavera che ha distrutto le fioriture compromettendo pesantemente il lavoro delle api”.
Chiunque, dal Veneto al Salento, può notare quanto queste manifestazioni climatiche violenti siano del tutto evidenti. E forse solo i nostri nonni possono vedere questa involuzione ambientale in corso. Da salentina ho visto l’ecosistema degli ulivi millenari distruggersi man mano, e basta fare un giro in macchina per poter osservare dalle superstrade il grigio e secco panorama desolante degli ulivi oramai “deceduti”.
Ed è proprio la piana del Salento (come anche quella delle Murge) ad essere altamente a rischio essiccazione. Niente di troppo lontano come l’Australia, dunque. In Nord Italia la situazione non è differente.
Come riportato da ‘Il Fatto Quotidiano’ che ha intervistato il climatologo Antonello Pasini, “anche se più ricche e sviluppate le regioni del Nord non sono immuni agli impatti dei cambiamenti climatici, né sono più preparate per affrontarli.
Nella Pianura Padana, definita il granaio d’Italia, già nel 2012, nel 2015 e nel 2016 la siccità ha portato effetti devastanti. Nel 2012 – aggiunge ancora – si sono stimati 500 milioni di danni per mancati raccolti di mais”.
Sotto si riporta una mappa interattiva attraverso la quale è possibile vedere al momento quale sarà l’andamento climatico delle città più inquinate al mondo da qui al 2050 circa. Qui la mappa completa –> https://hooge104.shinyapps.io/future_cities_app/
(Fonte: Bastin et al.2019)
Il team scientifico dell’Onu, IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha realizzato nel 2019 un report a dir poco allarmante denominato ‘Global Warming of 1.5°’ e che ha creato non poche polemiche.
Fra i temi trattati quello dell’azione umana sul pianeta Terra, che continua ad essere sottostimato. Come si può vedere da questa mappa interattiva, però, realizzata da YouTrend sulla base dei dati dell’Istituto per gli Studi Spaziali della NASA, il ruolo dell’azione umana è a dir poco preponderante rispetto ai fattori naturali:
Come scrisse il sociologo Urlick Beck nel suo ‘La metamorfosi del mondo’, il cambiamento climatico, però, potrebbe paradossalmente portare a qualcosa di positivo. Ma in che senso? Attraverso quello che l’autore definisce il ‘catastrofismo emancipativo’: questa minaccia che opprime tutto il mondo, nessuno escluso, potrebbe indurci in una svolta che si declini realmente in senso cosmopolita.
Una volta interiorizzata la catastrofe, solo allora ci si renderà conto di quanto gli Stati Nazione siano impotenti, singolarmente, dinanzi ad una problematica di questo tipo, ed è solo agento in modo congiunto su scala mondiale che si potrà realmente vedere la luce in fondo al tunnel. Anche l’eccentrico filosofo e psicoanalista sloveno Slavoj Žižek sembra pensarla, nel suo pessimismo, in egual modo: e se fosse proprio la disperazione – si chiede – il vero motore del cambiamento? (Vedi il suo ‘Il coraggio della disperazione’, edito nel 2017).
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