A pochi giorni dall’udienza preliminare voluta dalla procura di Roma all’interno dell’indagini per il caso Regeni, emergono testimonianze accusatorie contro i quattro 007 indagati. Secondo il superteste: “Il 2 febbraio 2016 Abdallah mi ha spiegato che Giulio Regeni era morto. E che sarebbe stata inscenato un depistaggio per allontanare i sospetti sulla National security”.
La fonte della denuncia resta anonima, ma viene da una fonte vicina a Mohammed Abdallah, l’ambulante che tradì Giulio Regeni, che aggiunge nuovi prove per avallare la tesi dell’accusa: “Il 25 gennaio ho saputo da Abdallah della scomparsa del giovane Regeni. Mi disse che era a conoscenza del fatto che l’italiano si trovasse in un ufficio della National Security”.
E ancora: “Il 2 febbraio ero con Abdallah e ho notato che era spaventato. Mi ha spiegato che Regeni era morto e che quella mattina era nell’ufficio in compagnia di un ufficiale di polizia che lui chiamava Ushame questi in sua presenza aveva ricevuto una telefonata da un collega del commisariato di Dokki”.
Nell’atto, reso pubblico dalla procura di Roma, si legge inoltre: “Nel corso della telefonata i due ufficiali avevano parlato di come indirizzare la responsabilità della morte del ragazzo verso una rapina. L’ufficiale avanti a lui diceva che bisognava deformare il corpo fornendo il sospetto che fosse stato rapinato e quindi accusare qualche pregiudicato del delitto, facendovi trovare alcuni effetti personali del giovane italiano”.
Come è noto, il depistaggio ha avuto effetto e pochi giorni dopo dal ritrovamento del cadavere, vennero accusati cinque innocenti della morte del ricercatore friulano.
Per l’omicidio Regeni, il prossimo 29 aprile rischieranno di finire a processo il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, accusati di sequestro di persona pluriaggravato, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif per cui si chiede il processo anche per concorso in lesioni personali aggravate e in omicidio aggravato.
Secondo l’atto d’accusa della procura di Roma, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif “per motivi abietti e futili e abusando dei loro poteri, con crudeltà, cagionava a Giulio Regeni lesioni che gli avrebbero impedito di attendere alle ordinarie occupazioni per oltre 40 giorni nonché comportato l’indebolimento e la perdita permanente di più organi, seviziandolo con acute sofferenze fisiche, in più occasioni e a distanzia più giorni”.
Dopo l’accusa di lesioni e tortura, Sharif è accusato anche di omicidio: “Mediante una violenta azione contusiva, esercitata su vari distretti corporei cranico-cervico-dorsali, cagionava lesioni imponenti di natura traumatica a Giulio Regeni da cui conseguiva un’insufficienza respiratoria acuta di tipo centrale che lo portava alla morte”.
Tra tutti coloro che hanno collaborato con gli inquirenti, un volta fissata la data del processo, solo tre testimoni sono considerati attendibili perché le loro parole confermano o sono compatibili con fatti già noti e aggiungono a questi dettagli.
Tra le testimonianze più rilevanti appunta quella dell’amico di Said Mohamed Mohamed Abdallah, il capo del sindacato autonomo degli ambulanti del Cairo, che aveva denunciato Giulio Regeni e che aveva un rapporto con la National Security che, da quanto si apprende, sarebbe stato costante.
Gli atti dell’accusa rendono noto che i quattro indagati, assieme ad altri complici non identificati, dopo la denuncia di Mohamed Abdallah avrebbero “osservato e controllato, direttamente e indirettamente, dall’autunno 2015 alla sera del 25 gennaio 2016, Giulio Regeni“.
Una volta riconosciuto e fermato: “lo bloccavano all’interno della metropolitana de Il Cairo e, dopo averlo condotto contro la sua volontà e al di fuori da ogni attività istituzionale, dapprima presso il commissariato di Dokki e successivamente presso un edificio a Logaugly”.
Dopo tanto patire, la famiglia Regeni potrà avere finalmente la verità tanto agognata? Nel frattempo, almeno, su questo fronte arriva una buona notizia: Patrick Zaki avrà la cittadinanza italiana.
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