A distanza di 30 anni dalla tragedia della Moby Prince, nella quale si scontrarono fatalmente una petroliera ed un traghetto, la verità non è stata ancora svelata, ma le indagini in corso, sia della procura che del parlamento, potrebbero dare giustizia alle famiglie delle 150 vittime dell’incidente
Gli anniversari delle tragedie senza giustizia, quelle che devastano l’opinione pubblica e fungono come un vero e proprio spartiacque nelle storie di una nazione, non hanno una funzione solo simbolica. Oggi, a distanza di 30 anni esatti dalla tragedia della Moby Prince, sembra che qualcosa si stia finalmente muovendo a livello istituzionale.
Dopo una battaglia trentennale portata avanti dai famigliari delle vittime la verità potrebbe, finalmente, venire a galla, a dare giustizia non solo a quelle 150 persone naufragate, ma anche a tutti i loro cari che fino ad oggi non hanno avuto dallo Stato una risposta di alcun tipo.
Questa tragedia, infatti, è conosciuta come uno dei più grandi misteri italiani, che potrebbe, dopo trent’anni esatti, essere risolto grazie alle indagini in corso sia in parlamento che in procura. Ma andiamo con ordine
Era la sera del dieci aprile del 1991 quando, all’uscita del porto di Livorno, la petroliera Agip Abruzzo, denominata ‘Moby Prince’, collide fatalmente in acqua con un traghetto. Lo scontro provoca un importante incendio, alimentato dal petrolio che trasportava la Moby Prince, rendendolo di fatto inarrestabile.
Il traghetto, infatti, uscendo dal porto, colpì erroneamente con la prua la petroliera, perforando la cisterna numero 7 che conteneva al suo interno la bellezza di 2700 tonnellate di petrolio.
Secondo le analisi postume della documentazione a firma dei vertici del Comando operativo dell’Aeronautica militare, nei quali vi è il riepilogo punto per punto di quello che quella tragica notte accadde, i soccorsi erano pronti ad intervenire quando alle 00.01 la Capitaneria di porto lancia l’allarme.
Viene immediatamente attivata tutta la procedura per disporre gli elisoccorsi: i mezzi di aviazione sono pronti a partire dagli aeroporti di Ciampino, Istrana e Linate, che potrebbero giungere sul posto dell’incidente entro massimo un’ora e cinquanta, lasso di tempo nel quale viene considerata anche tutta la preparazione dei mezzi.
Quegli elicotteri, però, di fatto non si levarono mai in volo. Il motivo? La Capitaneria comunicò che non ci fosse più bisogno di quei mezzi in quanto stava già provvedendo la Marina, la quale era giunta a conoscenza che non solo ci fosse nebbia, ma che i naufraghi erano oramai deceduti.
Questa nebbia, però, non era in realtà fitta come si disse e, soprattutto, un elemento risalta su tutti: il fatto che la petroliera, come scrisse ‘La Nazione’ il 15 aprile del ’91, non doveva trovarsi lì. La nave era collocata, al momento della collisione, in un triangolo di divieto di ancoraggio con il fine di intralciare altre imbarcazioni nell’uscita del porto. Nella rassegna degli articoli sull’occasione, quello fu escluso, e non fu una casualità come ha dimostrato in seguito da Gabriele Bardazza, l’ingegnere che si è occupato di ricostruire l’archivio satellitare che da anni fornisce consulenza tecnica al comitato delle vittime.
150 le persone che persero la vita in quel fatale scontro, che si risolse con un nulla di fatto: dal processo, infatti, non emerse nessun responsabile.
Quel che è certo è che questa strage si poteva evitare, e centinaia di vite potevano essere salvate, come testimoniato dall’unico superstite alla tragedia, il mozzo Alessio Bertrand: “Molti dei miei compagni potevano essere salvati. Ma nessuno li andò mai a cercare. E nessuno ha mai pagato per questo”.
Dopo 30 anni di silenzi, bugie e omissioni finalmente è stata riaperta un’indagine, questa volta per strage a carico di ignoti. Nel parlamento, invece, è stata aperta un’interrogazione proposta dal Movimento 5 Stelle, PD e Lega, per andare ad identificare quali possano essere state le cause dello scontro fra le due navi e il perché dei mancati soccorsi.
“Ho dato tutto, e rifarei tutto. Ci è capitato di essere trattati in modo vergognoso nelle aule di tribunale, di venire liquidati con una alzata di spalle. Ma ne è valsa la pena. Perché infine tutti hanno capito. Abbiamo una verità storica. Adesso sarebbe bello avere anche una verità giudiziaria”: ha dichiarato Angelo Chessa, figlio del comandante. Forse la verità, finalmente, arriverà, anche se in ritardo.
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