Dopo il servizio de Le Iene sul caso di Yaska, una ragazza affetta da schizofrenia costretta ad abortire dalla propria tutrice legale, sorge spontaneo chiedersi come si operi in Italia nell’ambito della tutela legale delle persone inferme dal punto di vista mentale.
La normativa in merito è tanto complessa quanto delicata, e quello che nel servizio viene messo in luce attraverso le parole del legale della famiglia è il fatto che, in realtà, non sussista un limite massimo di persone che ciascun tutore o amministratore di sostegno possa avere “a carico”.
Una problematica non indifferente se si considera che, in realtà, queste persone sono investite da una responsabilità enorme nei confronti dei loro assistiti, decidendo tanto della loro vita quanto della loro morte non essendo queste ultime in grado di intendere e volere.
Questo, però, può generare, come nel caso di Yaska, problematiche enormi per la qualità di vita degli assistiti, spesso persi di vista dai propri tutori che, seguendo molti casi, non sono in grado di conoscere a pieno le delicatissime dinamiche delle loro vite. Vediamo come funziona.
Per la normativa italiana il tutore legale è la figura deputata dalla Costituzione a tutelare i soggetti ritenuti incapaci di agire in maniera autonoma.
Nella ratio del legislatore questa forma di tutela è finalizzata a garantire protezione ai soggetti più deboli che, essendo appunto incapaci di agire al meglio in maniera autonoma, vengono affidati ad un soggetto terzo indicato dalla legge che possa, in sostanza, agire per loro in tutto e per tutto.
Con la legge n.6 del 2004 nel nostro ordinamento è stato introdotto un nuovo istituito giuridico accanto a quello del tutore, quello dell’amministratore di sostegno, che ha l’obiettivo di “tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità d’agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”.
Come si legge, la finalità di questa figura è quella di sostenere gli infermi mentali senza, tuttavia, lederne la libertà. Per fare questo, però, ci vuole un’estrema delicatezza, tanta competenza e, soprattutto, una conoscenza approfondita del caso che si va a seguire.
Come è possibile che ciò avvenga se, in realtà, secondo la normativa un tutore o amministratore di sostegno ha la facoltà di seguire un numero infinito di casi? Come è possibile che soggetti con particolari esigenze e bisogni vengano semplicemente ‘medicalizzati’ senza potersi permettere la possibilità di seguire terapie alternative grazie anche al sostegno dei propri tutori, come nel caso di Yaska?
In realtà, come per tantissime altre questioni inerenti la disabilità, “abbandonare” e relegare un disabile mentale ad un tutore non è una misura da ritenersi sufficiente per garantire al soggetto un recupero della propria autonomia perlomeno parziale.
A lottare fermamente in quest’ottica è l’Anffas, l’Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale, secondo la quale la figura del tutore risulta essere “del tutto residuale”, provocando, di fatto, “l’assoluto annullamento della persona con disabilità e la sua completa “sostituzione” da parte di altra persona (il tutore) che agisce secondo una predeterminata generale disciplina normativa, contenuta nel codice civile”. Preferibile al tutore, a detta loro, la misura dell’amministratore di sostegno, che si configura secondo l’Anffas come il male minore.
La stessa Anffas lotta da anni per eliminare dalla normativa italiana il procedimento di interdizione e inabilitazione dei soggetti affetti da disabilità mentali (l’interdizione è quella a cui è stata soggetta Yaska) impegnandosi a sostenere una proposta di legge (la C.510, presentata alla Camera dei Deputati il 29/04/2008) volta ad “eliminare del tutto dal nostro ordinamento giuridico gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, a fronte di un rafforzamento della più flessibile ed efficace misura dell’amministrazione di sostegno”.
Ancora una volta, sia nelle scuole che fuori, risulta evidente come la disabilità mentale (ma anche quella fisica) venga relegata dallo Stato alla sfera medica. Farmaci, palliativi, centri di reclusione per gli infermi sembrano la via più comoda.
La famiglia di Yaska, però, una soluzione l’aveva trovata, creando per lei le condizioni in famiglia per poterla sostenere, assieme al compagno (che oggi non può più vedere).
Le soluzioni alternative ai centri psichiatrici, nei quali gli infermi mentali vengono trattati come corpi da riempire di farmaci, ci sono, ed è tutta dello Stato la responsabilità di promulgarle.
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