Siamo a Buccheri, in provincia di Siracusa; o meglio siamo nella campagna di Buccheri, tanto cara ai greci e ai romani con i suoi vini e il suo miele ibleo. Il luogo che ci accoglie potrebbe essere l’omerico sito dei Lotofagi; qui si dimentica il mondo del III millennio e i suoi dolori; la bellezza delle pietre e della natura non antropizzata anestetizzano dal frenetico correre del presente. Siamo immersi nel passato, nel Medioevo carico di miti e leggende, di streghe e cavalieri, di monaci e crociati. La Chiesa di Sant’Andrea sorge precaria a 8 chilometri dall’abitato e ci accoglie con il sussurro del suo Genius Loci. Sì, la storia della sua esistenza seduce, è ricca di vicende affascinati; ascoltarla nelle parole di appassionati abitanti del luogo è coinvolgente. Accanto alla narrazione orale, un mondo ancora tutto da scoprire è raccontato dai conci di calcare che portano incise le vite di generazioni e generazioni di uomini e donne passate da lì. Fra le tante voci “di dentro”, una sembra spiccare con forza, copre le altre nel silenzio del luogo: quella dei prigionieri dell’Inquisizione spagnola che fra queste mura hanno vissuto le loro pene. I graffiti che segnano come rughe la pietra, alcuni di essi, sembrano raccontare storie come quelle che si sono svelate a Palazzo Steri a Palermo; i temi, lo stile, il pathos che dai solchi più o meno profondi emergono sono molto vicini, formano un coro di “urla senza suono”, come racconta il titolo di un bellissimo libro del 1999.
Il luogo deve essere tutelato e valorizzato, deve diventare una meta imprescindibile del turismo culturale in Sicilia, deve aprire gli scrigni delle emozioni che reca in sé al maggior numero di visitatori. In tempo di pandemia è difficile, ove non impossibile. Però, buona e lungimirante politica culturale deve sollecitare soluzioni di divulgazione che, cessata l’emergenza, rimangano strumenti alternativi di conoscenza del territorio.
Un’idea che ritengo possa incontrare le aspettative di quanti cercano nella visita ad un luogo dell’arte l’opportunità di vivere un’esperienza fuori dalla norma è la seguente.
Essa tiene conto delle condizioni del momento originate dalla chiusura dei siti e trae spunto dal concetto di Genius Loci, dalla teoria di Walter Friedrich Otto e le sue considerazioni sulla notte e dai fenomeni dell’apofenia e della pareidolia. Essa culminerà nell’esperienza di una diretta notturna, senza protagonisti dal vivo, dall’interno della chiesa di Sant’Andrea con telecamera e microfono accesi e collegati con una stanza virtuale della rete.
Il Genius Loci è il confine estremo dei territori linguistici conosciuti; è esso stesso limen, confine; dopo di lui il non detto, l’esistente alògico, senza suono articolato e senza percorsi intellegibili.
Il Genius è anche Dàimon: dispensatore. Ulisse, alla ricerca dell’indicibile, brucia dentro una lingua di fiamma dopo averlo trovato; “e volta nostra poppa nel mattino,/de’ remi facemmo ali al folle volo”; l’eroe affronta con la forza della sua carne e delle sue ossa l’impossibile; sua corazza è la sete inestinguibile di conoscere; eccolo, dopo cinque mesi di folle volo giunge a vedere il limen, il confine dove il Genius diventa Dàimon. Il Dispensatore non è senza interesse, non è un mecenate: se l’eroe vuole conoscere deve pagare e pagare un prezzo altissimo: “infin che ‘l mar fu sopra noi richiuso”.
Lo stesso ardere di conoscenza deve muovere il visitatore della chiesa di Sant’Andrea; con maggior prudenza dell’eroe omerico, egli si avvicinerà al Genius Loci attraverso una navigazione tra il dicibile – la strumentazione e i mezzi di comunicazione del III millennio – e l’indicibile perché non detto: “da la nova terra un turbo nacque”.
Francesco Di Vincenzo – Docente dell’Accademia di Belle Arti di Catania