Corrono da una parte all’altra della città, in bici, motorino o macchina, incuranti di pioggia e vento. Per loro non ci sono differenze tra festivi, weekend, orari notturni o tutto quello che un lavoratore dipendente di solito ha, e questo perché sono considerati come lavoratori “autonomi”, sebbene non siano loro a concordare la paga né a decidere le modalità con cui devono svolgere l’attività. Stiamo parlando dei rider, o fattorini, ragazzi ma anche over 40 che tramutano un ordine su Internet – di cibo, ma non solo – in una consegna a domicilio.
I rider italiani si sono riuniti tutti quanti in un’assemblea online: erano così tanti che, in tutte e 32 le città dove si sono riuniti, non c’era posto per tutti.
Vincenzo Tammaro, rider milanese, ha annunciato quello che è stato l’esito dell’assemblea generale: “Vogliamo fare una gigantesca class action davanti ai Tribunali del lavoro“ ha dichiarato, per poi attaccare: “Questo non è più il lavoretto. Iniziamo alle 8 del mattino fino alle 2 di notte per una paga da miseria senza alcuna sicurezza. Se mi faccio male non mi paga nessuno”.
Un rider di origini straniere ha invece sottolineato un altro aspetto importantissimo: “Il riconoscimento del nostro lavoro come subordinato è importante per ottenere il permesso di soggiorno”.
“Non usufruite del servizio in quella data”
I rider hanno indetto uno sciopero collettivo, invitando tutti i clienti delle piattaforme delivery a dimostrare solidarietà nei loro confronti non ordinando nulla nel giorno della contestazione: “Sollecitiamo tutti i clienti delle app a non usufruire del servizio in quella data, in solidarietà alla nostra lotta”. Lo sciopero è stato indetto per venerdì 26 marzo, e i clienti hanno l’occasione di fare la loro non ordinando alcun tipo di servizio in quella data.
Per adesso da parte dei colossi del delivery non è pervenuta alcuna risposta ufficiale. La lotta, però, non è più solo italiana: “Sono iniziate al Parlamento Europeo le consultazioni per ottenere una regolamentazione del lavoro di piattaforma, attraverso una direttiva che garantisca un’adeguata protezione sociale e un trattamento congruo per tutti. Durante il lockdown siamo stati equiparati a lavoratori essenziali, ci spettano tutte le tutele“.
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