Nella giornata di oggi ricorre il centenario della nascita del Partito Comunista: quella scissione dal partito socialista a Livorno – dove si scrisse un pezzo fondamentale della storia d’Italia – continua a far discutere, e ancora oggi non siamo riusciti a comprenderla totalmente
1921: il partito socialista fissa a Livorno un congresso dal 15 al 20 gennaio; i punti da discutere sono tanti, come tante sono le correnti interne ad esso; in particolare, gli animi si dividono fra coloro i quali vennero definiti riformisti e quelli che, invece, optavano per scelte più radicali sull’onda di quanto venne definito nella Seconda Internazionale, svoltasi nell’agosto del 1920. In quell’occasione vennero dettate le condizioni (21 punti, per la precisione) per far sì che i partiti venissero ammessi all’Internazionale: fra queste, andava emergendo la necessità di allontanare i riformisti, che oramai erano considerati a tutti gli effetti come ‘controrivoluzionari’. In quegli anni al governo c’era Giolitti, ma soprattutto c’erano i fascisti che imperversavano per le strade con incursioni alle sedi dei partiti (per un approfondimento si veda il testo di Gabriele De Rosa “I partiti politici in Italia”). Venuto a sapere del congresso, Giolitti fece di tutto per far sì che i blitz fascisti non turbassero l’andamento del congresso: il capo del governo sapeva bene quanto importante fosse quell’incontro, il quale ebbe un esito che egli stesso non poteva immaginare. Nei suoi piani, infatti, Giolitti sperava che ne uscisse rafforzata la corrente dei riformisti, tale da rendere il partito socialista più malleabile e dunque maggiormente disponibile ad un dialogo con il suo governo.
Ma l’esito fu esattamente l’opposto: le divergenze fra l’ala riformista e quella comunista avevano condotto ad una crepa che non poteva risanarsi se non con una scissione. Fra i punti di divergenza esemplare fu l’atteggiamento assunto da ‘Ordine Nuovo’ e dai riformisti in merito alla questione dell’occupazione delle fabbriche: ‘Ordine Nuovo’ – infatti – voleva che i consigli di fabbrica divenissero dei veri e propri istituti rivoluzionari, le prime cellule di un movimento operaio rivoluzionario di tipo bolscevico. Turati e i sindacalisti confederati ne volevano fare, invece, dei consigli di gestione» (De Rosa, 1972, pp. 117-118). La platealità di tale evento era tale che non si sarebbe potuta svolgere da nessun’altra parte se non fra due teatri: esattamente cento anni fa come oggi, una corrente capeggiata da Bordiga si spostò dal Teatro Goldoni, la sede del Congresso livornese socialista, per muoversi verso Teatro San Marco, dove ufficialmente si diede vita, il 21 gennaio 2021, al partito comunista. Il giornalista Ezio Mauro parla di 2100 passi di differenza fra i due teatri, e sono proprio quei 2mila passi che segnarono per sempre uno spartiacque politico nella storia d’Italia.
A distanza di un secolo, al di là delle ricostruzioni storiche, gli animi sono ancora divisi ma, soprattutto, ritengo che non si sia compreso a fondo, nonostante il tempo trascorso, le dinamiche che animarono quel gesto e le relative conseguenze, quello stesso gesto che non può essere letto alla luce degli attuali avvenimenti politici, anzi: è quanto di più sbagliato si possa fare. A distanza di 100 anni, però, c’è chi quel sogno proletario di unione e solidarietà orizzontale lo ha trasformato e fatto evolvere, adattandolo al contesto neo-liberista e postmoderno che è quello che viviamo (vedi Toni Negri e il concetto di moltitudine, che ha sostituito quello della classe operaia). Chissà, però, come sarebbe andata se in quel 1987 il consenso del partito, dopo la morte di Berlinguer, non fosse calato violentemente ma, soprattutto, cosa potrebbe accedere se si tentasse di dare adito all’utopia di Negri di una grande moltitudine che dia vita ad una democrazia globale?
“Il mondo si sgretola via, succede, è successo, si sgretola e via” – Narko’$, CCCP
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