Le mutazioni continuano a crescere e spaventano l’Europa, che corre ai ripari aumentando le restrizioni, mentre gli esperti si dividono sui nuovi ceppi e sul loro impatto sull’efficacia del vaccino, ma è condivisa la convinzione che ne arriveranno nuove varianti
Giunti a quota 230 milioni di casi mondiali giornalieri, gli scienziati iniziano a trarre le prime, importanti conclusioni su una delle questioni più spinose della lotta al coronavirus: quella delle mutazioni. Dopo l’allarme da parte dell’Inghilterra, che si ritrova ad affrontare l’ennesimo lockdown per tentate di fermare la velocissima diffusione del nuovo ceppo di coronavirus nel Paese, soprattutto a Londra, giungono notizie di ulteriori mutazioni potenzialmente più pervasive, come quella proveniente dal Sudafrica. Ma questi ultimi sono solo alcune delle varianti che si stanno verificando in tutto il mondo. Solo negli Stati Uniti sono stati individuati tre differenti ceppi autoctoni a meno di 24 ore di distanza l’uno dall’altro.
Nuove varianti: parla l’esperto
Biologi, ricercatori e medici di tutto il mondo si ritrovano ora ad affrontare tutti i potenziali rischi derivanti dall’evoluzione del coronavirus in mutazioni differenti, ma i dati sono ancora troppo esigui per poter trarre delle conclusioni scientifiche certe. Tuttavia, dall’Italia fino agli Stati Uniti, gli esperti provano ad effettuare le prime analisi sul fenomeno; fra questi, il ricercatore americano Trevor Bedford, esperto nell’evoluzione di virus e immunologia, ha pubblicato su Twitter una prima indagine a sangue caldo nella quale ha delineato la sua tesi: “Dopo circa 10 mesi di relativa quiescenza abbiamo iniziato a vedere una sorprendente evoluzione di SARS-CoV-2 con un modello evolutivo ripetuto nelle preoccupanti varianti di SARS-CoV-2 che emergono dal Regno Unito, dal Sud Africa e Brasile. La mia ipotesi (altamente speculativa!) è che l’emergere di queste varianti di virus si verifichi nei casi di infezione cronica durante la quale il sistema immunitario esercita una grande pressione sul virus il quale, per sfuggire all’immunità, (si evolve) diventando più bravo ad entrare nelle cellule”. Si tratta in sostanza, come specificato ieri anche da Andrea Crisanti durante la puntata su La7 di Piazza Pulita, di una mutazione della proteina spike, ossia la ‘porta di accesso” attraverso la quale il virus penetra nel corpo umano (per intenderci, quelle escrescenze che sono posizionate all’esterno della struttura virale che servono al virus per attaccarsi). Bedford ha poi terminato la sua speculazione giungendo alla conclusione che, dopo l’evoluzione di queste varianti in così poco tempo, dobbiamo aspettarci matematicamente che ne arrivino delle altre.
Pfizer e Moderna, nel frattempo, continuano a testare i loro vaccini contro le varianti internazionali, e si aspettano che, attraverso questi test, il farmaco possa fornire protezione anche contro eventuali evoluzioni. Tuttavia, come dichiarato anche dal consigliere scientifico del Regno Unito Patrick Vallance e come la scienza da tempo ci insegna, nulla può essere considerato come certo: “Non sappiamo con assoluta certezza se i vaccini in fase di lancio sul mercato siano in grado di funzionare anche nei confronti nei nuovi ceppi provenienti dal Brasile e dal Sud Africa. C’è una percentuale di rischio che questo questi ultimi possano inficiare il modo in cui il sistema immunitario riconosce il vaccino, ma non lo possiamo ancora sapere con certezza”.