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Esteri

La Brexit finalmente completata: quali sono gli accordi con l’UE? Cosa comporta per i cittadini europei?

Dopo quattro anni e mezzo dal Referendum del 23 giugno 2016, dove il 52% dei britannici scelse il “Leave” ovvero l’uscita dall’Unione Europea, la Brexit può dirsi finalmente completata in tutti i suoi aspetti fondamentali. È, se vogliamo, il divorzio alla fine di un lungo periodo di separazione che sancisce la definitiva conclusione di un matrimonio che durava dal 1973.

Questi anni di discussioni interminabili, che hanno visto l’avvicendarsi, nel Regno Unito, di tre diversi premier (David Cameron, Theresa May e Boris Johnson), due elezioni anticipate (nel 2017 e nel 2019) e, nella controparte continentale, di due Commissioni Europee (da quella di Jean-Claude Juncker a quella di Ursula von der Leyen ); sono giunti alla loro conclusione formale: prima con l’uscita effettiva del Regno Unito dall’UE il primo febbraio 2020 e poi con la fine del periodo di transizione il 31 dicembre. Transizione durante la quale molte delle regole comunitarie hanno continuato a valere in attesa di un accordo che le sostituisse.

L’accordo è stato infine trovato e annunciato il 24 dicembre, in una conferenza stampa congiunta, da Boris Johnson e Ursula von der Leyen, scongiurando così l’ipotesi di un “no-deal” commerciale che lo stesso premier inglese aveva dato come probabile (risuonavano le parole dette a suo tempo da Theresa May : “a no-deal is better than a bad deal”: nessun accordo è meglio di un cattivo accordo) ma che, secondo la maggioranza degli analisti, avrebbe avuto pesanti ripercussioni economiche.

Nelle milleduecento pagine di accordo che regoleranno per i prossimi anni i rapporti tra UE e UK hanno trovato una sintesi molte delle opposte posizioni che hanno impegnato maggiormente i negoziatori:

Il cosiddetto “level playing field” ovvero un insieme di regole per impedire al Regno Unito di usare qualsiasi mezzo per favorire le proprie aziende in concorrenza con quelle europee. Da un lato l’Unione ha ottenuto che gli aiuti di stato e l’abbassamento degli standard ambientali e lavorativi non possano essere usati con l’obiettivo di fare “concorrenza sleale”, dall’altro il Regno Unito ha ottenuto che tali interventi saranno non solo possibili, ma anche valutati nei loro effetti una volta introdotti e non preventivamente come chiedeva l’UE.

Proprio la valutazione del rispetto dei trattati, la “governance”, è stata un’altra materia di scontro; alla fine Londra ha ottenuto che fosse un nuovo organismo indipendente tra le parti a valutare i casi d’inadempienza e non la Corte di Giustizia Europea, ma ha dovuto cedere sulle “misure correttive” richieste da Bruxelles, ovvero un sistema di dazi che potrà essere usato come misura ritorsiva in caso di violazioni.

La pesca, nonostante sia una parte irrisoria del PIL (lo 0,1%), ha assunto negli anni una grande rilevanza nel dibattito inglese in quanto simbolo, secondo i sostenitori della brexit, di sovranità sulle proprie acque. Anche su questo però si è dovuti arrivare a un compromesso, la quota di pesce che i pescherecci europei potranno pescare in acque inglesi dovrà diminuire del 25% in 5 anni; soluzione evidentemente molto distante dall’iniziale richiesta britannica che prevedeva un – 60% in soli tre anni.

Niente da fare invece per il programma Erasmus+, Boris Johnson, che inizialmente aveva promesso di mantenerlo, ha annunciato che gli studenti inglesi avranno le stesse possibilità grazie a un nuovo programma che andrà a sostituirlo (e che prenderà il nome dal famoso matematico Alan Turing)

Infine, se da una parte il libero commercio fra le due sponde della Manica può dirsi garantito, Brexit ha già iniziato a farsi sentire con controlli e obblighi burocratici alle dogane.

Allo stesso modo peserà su tutti i cittadini europei che vorranno soggiornare sull’isola, magari per lavoro, per più di sei mesi, occorrerà difatti un visto (dal costo di circa 700€ a cui ne vanno aggiunti altrettanti per il supplemento sanitario) e la domanda stessa sarà soggetta a un sistema a punti (che terranno conto del livello di conoscenza dell’inglese, dell’essere già richiesti da un’azienda e del superamento di una certa soglia di reddito futuro). L’uscita dall’UE avrà anche ripercussioni politiche interne, la Premier scozzese Nicola Sturgeon ha già annunciato che richiederà a Londra un secondo referendum sull’indipendenza (tra i motivi del fallimento del primo, nel 2014, c’era stata proprio la paura di ritrovarsi fuori dall’Europa abbandonando il Regno Unito); ancora più imprevedibile il futuro dell’Irlanda del Nord che, come da accordi, è stata lasciata nel mercato unico e nell’unione doganale, pur di evitare il ritorno di un confine fisico con la Repubblica d’Irlanda e mettere a repentaglio la pace successiva agli “Accordi del venerdì Santo” del 1998, ma tutto ciò potrebbe accelerare ancora di più l’avvicinamento di Belfast a Dublino.

Ramon Rosi

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