L’ex serial killer statunitense è deceduto in carcere: arrestato per 8 omicidi ne confessò in tutto 93, posizionandosi come primo assassino seriale della storia degli Stati Uniti
E’ deceduto in carcere a 80 anni Samuel Little, definito come il peggior serial killer della storia degli Stati Uniti. Little venne arrestato con l’accusa di 8 femminicidi, ma confessandone 93 si aggiudicò il macabro primato, terrorizzando gli States con un’ondata di omicidi efferati lunga 30 anni. Ad annunciare il suo decesso è stata l’amministrazione penitenziaria della California. La causa della morte è ancora da stabilire: bisognerà attendere gli esiti dell’autopsia che verrà eseguita nella contea di Los Angeles, dove l’uomo era stato recluso alla fine del 2014.
Nato in Georgia da una madre che si diceva facesse la prostituta, Little venne cresciuto principalmente dalla nonna. Dopo aver passato parte della sua adolescenza in un istituto per minorenni per aver fatto irruzione in una proprietà privata, Samuel Little continuò ad avere problemi con la legge, seminando arresti in 8 stati per reati di vario tipo, fra cui stupri, rapine, aggressioni e guida in stato di ebrezza, il tutto mentre portava avanti la sua attività come pugile. Nel frattempo, Little, lavorò sia in un cimitero che come assistente in ambulanza.
Little aveva un modus operandi che ripeteva per quasi tutte le sue vittime, quello dello strangolamento. Gli interrogatori del killer passarono alla storia: tante erano le vittime che, per aiutare gli investigatori, decise di disegnare i loro volti andando a memoria. L’FBI sta ancora utilizzando i suoi schizzi per fornire un’identità alle vittime: fino ad oggi sono stati in grado di identificarne 50 su 93, uccise fra il 1970 e il 1997.
Il suo primo omicidio (il primo riconosciuto, perché ne commise due altri prima lo stesso anno) Little lo fece nel 1970: la vittima era Mary Brosley, una donna minuta di 33 anni che conobbe poco prima in un bar, con problemi di anoressia e alcolismo. “Avevo un grande desiderio… di strangolarla. Credo di aver semplicemente perso il controllo”, spiegò 40 anni dopo alla polizia.
Little iniziò a confessare tutto nel maggio del 2018, e da allora non si fermò più: si contano 700 ore di interrogatorio, 93 omicidi compiuti nell’arco di 30 in 30 stati. Anche nella scelta delle vittime il modus operandi era ripetuto e non casuale: il serial killer non sceglieva mai donne la cui scomparsa avrebbe attirato l’attenzione mediatica, “Non sarei mai andato in un quartiere bianco a uccidere una ragazzina adolescente”, disse lui stesso, ma delle donne “invisibili” alla società: come ha spiegato il criminologo Scott Bonn “Se queste donne fossero state benestanti, bianche, mondane, questo sarebbe stato il caso più importante nella storia degli Stati Uniti. Invece lui puntava altrove”. Samuel Little, come moltissimi killer di quella tipologia, non ha mai mostrato rimorso per le sue azioni: mentre veniva condotto fuori dall’aula nel 2014 e le famiglie delle vittime applaudivano, Little alzò il pugno in alto.
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