Dai bilanci Istat emerge un preoccupante trend: la popolazione italiana è sempre più in calo. Nel 2019 il minimo storico di nascite dall’anno dell’Unità d’Italia, ma ci si aspetta di peggio per il 2021 dopo il Covid
Non nascevano così pochi bambini in Italia dai tempi dell’Unità d’Italia nel 1861: suona quasi surreale l’esito del monitoraggio demografico italiano, peggiorato ulteriormente dopo la crisi post coronavirus. A dare una panoramica di questo preoccupante fenomeno è l’Istat, che stima per il 2021 che le nascite in Italia possano scendere sotto le 400mila e che attualmente, in Italia, si sia scesi sotto i 60 milioni di abitanti. Il 2019 è stato un anno triste per il numero di nascite, ma il fenomeno il calo della curva ha avuto inizio, in particolare, a partire dal 2015.
Siamo sotto i 60 milioni: cosa ci attende nel 2050?
Al 31 dicembre 2019 la popolazione residente in Italia ammonta a 60.244.639 unità, all’incirca 189 mila in meno rispetto all’inizio dell’anno (-0,3%). Raffrontando la stessa data del 2014, il numero è sceso di 551 mila unità. Se dovessimo mantenere tale trend, il panorama che si prospetta è allarmante: nel suo rapporto del 2019 “World population prospects 2019”, l’Ufficio demografico dell’Onu formula per l’Italia scenari non particolarmente positivi. Secondo la medium variant (ad oggi la previsione considerata più attendibile) la popolazione italiana al 2050 scenderebbe a 54,32 milioni, perdendo cioè il 10% degli attuali residenti.
La crisi demografica: culle vuote per il 2021
Durante il 2019 i nati registrati in Italia sono stati 420mila: un minimo storico così non si raggiungeva dall’anno dell’unità d’Italia, il 1861. Ma lo scenario prospettato dall’Istat sembra essere peggiore rispetto a quello dell’anno scorso: basandosi sui dati più recenti, a dicembre le nascite si attesterebbero a circa 408mila, indicando dunque un calo di concepimenti spaventoso durante il mese di marzo. Per il 2021 si prevedono all’incirca 393mila nascite: a chiarirlo è il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, che in occasione della sua audizione nelle commissioni di bilancio di Camera e Senato ha specificato: “È legittimo ipotizzare che il clima di paura e incertezza e le crescenti difficoltà di natura materiale (legate a occupazione e reddito) generate dai recenti avvenimenti orienteranno negativamente le scelte di fecondità delle coppie italiane” aggiungendo “I 420 mila nati registrati in Italia nel 2019, che già rappresentano un minimo mai raggiunto in oltre 150 anni di Unità Nazionale, potrebbero scendere, secondo uno scenario Istat aggiornato sulla base delle tendenze più recenti, a circa 408 mila nel bilancio finale del corrente anno – recependo a dicembre un verosimile calo dei concepimenti nel mese di marzo – per poi ridursi ulteriormente a 393 mila nel 2021”.
I possibili motivi del calo demografico
Secondo Blangiardo, i motivi (al di là della terribile crisi economica post covid e le incertezze da essa derivanti) sono da ricercarsi in profonde mutazioni demografiche e sociali che hanno origini nel secolo scorso. Già verso la fine degli anni ’70, specifica il presidente dell’Istat, il numero medio di figli per donna ha iniziato a scendere. Fra i motivi più rilevanti emerge quello della bassa e tardiva fecondità: la realizzazione lavorativa arriva molto più tardi rispetto alle generazioni precedenti. Nonostante non risulti mutato il desiderio di avere figli, è cresciuta vertiginosamente “la quota delle coppie che sono costrette a rinviare e poi a rinunciare alla realizzazione dei progetti familiari a causa delle difficoltà della propria condizione economica e sociale o per fattori di contesto. Da qui la pressante necessità di azioni che rimuovano i numerosi ostacoli che si frappongono alla realizzazione di obiettivi che, stante le dinamiche demografiche di cui si è detto, contribuirebbero a sostenere un necessario investimento in capitale umano.”